PRESTO… MA DA CHI?

Arcangelo, tutte le volte che usciva dall’incontro al quale partecipava per prepararsi al matrimonio, diceva sempre alla sua fidanzata «questa sera il prete ha parlato a me»! Mi ha fatto pensare tantissimo questa espressione che ho sentito a gennaio e mi portava a farmi tante domande. Perché solo a gennaio 2019 qualcuno parlava a lui? Perché qualcuno non lo ha fatto prima? Perché non c’è stato prima un incontro con una parola diversa? Perché parliamo di tutto evitando di arrivare in profondità dove spesso siamo soli e smarriti? Perché un papà e una mamma non ci provano? Cosa hanno di così interessante da indicare e a cui rivolgersi? Perché pensano che alcune parole siano inutili e altre importanti? E che cosa ti porta a pensare che quella parola non serva e un’altra vada ascoltata? Perché un digiuno per tanto tempo? Era lui che si rifiutava di mangiare o nessuno si è accorto della sua fame nascosta? Perché tutto questo tempo? Chi doveva svegliare nel suo cuore le domande giuste, chi doveva permettere che si svegliasse nell’animo suo il desiderio e lo slancio che salva, il motivo che ti tiene in piedi e ti tiene in vita e non il motivo che devi tenere tu in vita perché non vale molto? Credo che il grande peccato del nostro tempo non è il fatto che non trasmettiamo la fede, ma il fatto che non ci proviamo. Nessuno è esperto. Nessuno è capace. Nessuno lo sa fare. Non si può seguire un protocollo perché ogni storia ha una traccia unica. Il vero dramma è non provarci. Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola… si dice nel rito del battesimo. È bellissimo quel «presto», ma da chi se non da papà e mamma che non hanno solo il compito di dare da mangiare, ma quello di indicare il cielo, quello di riempire il cuore di domande grandi, di desideri belli, di slanci capaci di portarti lontano, di speranze che ti tengono in piedi, di gioie che non tramontano facilmente, di certezze che non crollano, di verità che illuminano, di consolazioni sicure e vere, di legami che non si spezzano, di amori che non ti abbandonano, di amicizie che non tradiscono… bisogna provarci. È un peccato non farlo. Davvero un peccato. Perché c’è il rischio di convincersi che la vita è un viaggio che non vale la pena fare; è una festa alla quale non conviene partecipare. Il catechismo non riduciamolo a semplice passatempo. È il tempo delle fondamenta e tutto quello che oggi toccherà la vita dei bambini, li sosterrà per tutti i giorni della loro vita. Aiutiamoci. Senza farci la guerra, senza inutili rigidità, né cercando sotterfugi, ma facendo alleanza. Il catechismo è il tempo in cui dobbiamo provarci. Insieme. Ma dobbiamo farlo. Perché una parola non arrivi tardi. Molto tardi, quando ne intuisci la bellezza, ma non hai la forza di aggrapparti. Arcangelo si è tolto la vita. Non ci penso neanche lontanamente a giudicarlo (anzi ho scoperto una bellissima canzone di De Andrè, “preghiera a gennaio” che mi suscita una tenerezza immensa per lui). Però me lo dico sempre: perché non gli abbiamo parlato prima? È davvero un peccato non provarci. Possano i tuoi bambini esserti grati per sempre semplicemente perché ci hai provato.

P. Emanuele Sgarra scj

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