PER DECIFRARE LA VOCE
In questi giorni mi sono ritrovato a predicare in una comunità parrocchiale intitolata a S. Teresa e per l’occasione ho rivisto i dati biografici di questa giovane santa. Bisogna stare attenti a non raccontare e non guardare alla vita dei santi come a gente che vive in una bolla, protetta dalle fatiche e dalle sfide che vivono tutti gli uomini. La chiesa ci mette davanti questi fratelli e queste sorelle non solamente come modelli, ma come un paradigma della vita, per poter coniugare anche la nostra avventura personalissima. Non siamo chiamati a copiare la vita degli altri, ma a vivere la nostra. Nelle vite riuscite possiamo cogliere uno snodo interessante che può illuminare la nostra strada. Santa Teresa a quattordici anni, per una serie di situazioni che vive solo lei, matura il desiderio di entrare in monastero. È piccola. Molti non vedono di buon occhio, e valutano come decisamente molto affrettata, tale scelta. Di fatto Teresa entra nel Carmelo a poco più di quindici anni. Morirà per tubercolosi a soli 24 anni. Il dato sorprendente è lo sguardo chiaro sulla sua vocazione. Vocazione è una parola e una realtà che non rientra più nei pensieri e negli orizzonti di genitori e dei loro figli. Sembrano cambiate le priorità. Con questa parola, ormai in disuso nel parlare comune, si vuole intendere la voce che ci parla, quella che ci convince, quella che è capace di muoverci, quella che vince ogni nostalgia e ci proietta in avanti, quella che è capace di ridimensionare ogni difficoltà e ogni fatica. Qual è la voce che ci parla? La nostra o altre? Forse non siamo troppo storditi e imbrigliati dentro tante voci da non riconoscere più la nostra? Non c’è forse il pericolo di trovarci nel triste equivoco di prendere per nostra altre voci che gridano più forte? Che convincono di più? E anche quando ascoltiamo noi stessi non c’è forse il pericolo di ascoltare gli appetiti superficiali e di perderci la Voce più profonda e più vera? Forse il compito dei genitori è quello di aiutare i figli ad ascoltare la propria voce, a connettersi con il proprio desiderio. Perché se uno è connesso con il mondo e perde il contatto con se stesso alla fine si ritrova stordito, perso e, con altissima probabilità, estraneo a se stesso. Probabilmente possiamo parlare poco di vocazione perché siamo troppo fuori di noi e non siamo abbastanza attenti alla voce del nostro cuore. Abbiamo troppo alto il volume di tutto e non prestiamo attenzione alla voce del cuore. Quando si va sott’acqua si fa l’esperienza di una percezione unica di noi stessi. È come se si spegnesse ogni altro suono e ritroviamo un contatto unico e totale con noi stessi. Un papà e una mamma devono vigilare sulle voci che parlano al cuore dei loro figli. Forse è utile abbassare anche il volume delle loro voci e far sì che i figli ritrovino la propria. Vocazione richiama più il viaggio che l’equipaggiamento. Più la meta che i mezzi per arrivarci. Oggi siamo molto preoccupati per l’equipaggiamento, con il rischio di caricarci di moltissime cose che nel viaggio non serviranno. Anche perché molto di tutto ciò di cui bisogna dotarsi ce lo indica il viaggio. E poi per camminare c’è bisogno di leggerezza. Senza l’essenziale ci si pianta sul punto di partenza con il peso di tutto ciò che ci sembra necessario. La ricchezza di una vita è la sua destinazione. La meta capace di rendere grande chi intraprende qualsiasi strada è sempre qualcuno. Se la strada porta verso qualcuno la vita comincia a risplendere. Se la nostra ossessione è la nostra realizzazione, perdendo di vista i destinatari della nostra unica vita, ci ritroviamo poveri e inappagati. Un papà e una mamma dovrebbero, più che rispondere a tutte le domande dei loro figli, mettersi come rabdomanti, in ascolto della domanda più grande che abita il loro cuore. Quella domanda nascosta dove sono scritte le indicazioni e i motivi del viaggio. Cristianamente parlando un genitore dovrebbe anche pregare perché questo avvenga presto. Perché i figli possano ritrovare il desiderio principale. Quale strada gli si apre davanti e per quale viaggio sono tagliati. Il catechismo non è una tassa per i sacramenti. Non è un bignami delle realtà cristiane. Non è un’ora di tranquillità per i genitori. Non è un passatempo indolore. È la palestra dell’ascolto. È il luogo dove si allenano il cuore e l’orecchio all’ascolto. Per poter cominciare a individuare la nostra voce vera e per cominciare a conoscere la Voce che ci sosterrà, condurrà, guiderà, accompagnerà, consolerà, fermerà, spingerà, sveglierà… quella del Padre. La Voce più sicura che ognuno di noi possa conoscere. Carissimi genitori aiutate i vostri figli a ritrovare contatto con loro stessi, con il proprio cuore. Aiutateli a scoprire il Padre del Cielo perché possano, senza paure e senza traumi, intraprendere la loro strada senza sentirsi orfani.
P. Emanuele Sgarra scj