Da “L’Osservatore Romano” del 22 giugno 2012. Pubblicato col titolo:
“Ambiguamente attratti dalla menzogna. Dove s’annida il diavolo”.
Commento alla “lectio divina” di Benedetto XVI dell’11 giugno 2012, sul
Battesimo
di Leonardo Lugaresi
Nella sua “lectio divina” sul battesimo al convegno ecclesiale della diocesi di Roma, qualche giorno fa, il Papa ha inserito un riferimento alla nozione patristica di “pompa diaboli” su cui credo sia utile soffermarsi a riflettere.
Uno dei tanti meriti del magistero di Benedetto XVI è quello di tornare a far scorrere, con abbondanza e straordinaria naturalezza, la linfa dell’insegnamento antico dei Padri nel corpo della Chiesa contemporanea. Se ne apprezza così la piena attualità: quello dei Padri, infatti, è un cristianesimo giovane, appassionatamente teso al confronto — anche duro, se necessario, ma sempre ispirato da una grande apertura alla realtà — con un mondo non meno pluralista e complesso del nostro; un cristianesimo capace, soprattutto, di stare al centro del dibattito culturale e di prenderne, in un certo senso, la guida anche quando i cristiani erano una piccola minoranza nella società (come in gran parte d’Europa sono tornati a essere, ma con ben altra irrilevanza rispetto al discorso pubblico).
A un certo punto del suo discorso, ricordando che nella Chiesa antica la seconda delle rinunce battesimali era formulata così: «Rinunciate alla pompa del diavolo?», il Papa ha spiegato che «la pompa del diavolo erano soprattutto i grandi spettacoli cruenti, in cui la crudeltà diventa divertimento, in cui uccidere uomini diventa una cosa spettacolare: spettacolo, la vita e la morte di un uomo. Questi spettacoli cruenti, questo divertimento del male è la “pompa del diavolo”, dove appare con apparente bellezza e, in realtà, appare con tutta la sua crudeltà».
In questo rapido accenno ci sono alcuni riferimenti precisi ad aspetti della critica cristiana antica nei confronti degli spettacoli che vale la pena di illustrare, sia pur brevemente, per coglierne la densità e l’incidenza sul presente.
Innanzitutto la crudeltà come divertimento: negli spettacoli più cruenti del mondo antico, come i “munera gladiatoria” e le “venationes”, infatti, viene portata al massimo la tensione tra due poli che però, in diversa misura, caratterizzano sempre la relazione spettacolare. Da una parte, nell’arena, c’è chi lotta, versa il suo sangue e rischia la vita; dall’altra, fisicamente vicinissimo ma separato da un’invisibile e invalicabile barriera, c’è chi, assiso sulle gradinate dell’anfiteatro, guarda dall’alto, in una posizione di istituzionale superiorità e invulnerabilità.
Lo stesso momento è per gli uni questione di vita o di morte («il premio non è una corona d’ulivo: combattiamo per la vita»: così ci ammonisce, dolente, l’epigrafe funeraria di un gladiatore trovata a Gortina); per gli altri è solo ludus, intrattenimento disimpegnato e di cui non si porta alcuna responsabilità. Lo spettatore, infatti, mentre guarda morire un altro uomo non è, per definizione, responsabile di nulla, non deve fare nulla se non appunto guardare e godersi, per contrasto, la sensazione di sicurezza e di potere che la morte dell’altro gli procura.
L’essenza del potere, come ha notato Elias Canetti, si può dire che stia proprio nella sopravvivenza rispetto alla morte dell’altro; ma questa non è una prerogativa solo del re o del tiranno: a ben vedere, il sollievo che la visione della morte dell’altro produce (perché «lui è morto e io invece no») assomiglia molto al piacere di cui parla Lucrezio, nel II libro del “De rerum natura” («Dolce, quando il mare è in tempesta, guardare da terra il naufragio di un altro»), presentandolo come l’ambito premio della saggezza del filosofo, che può guardare con sovrano distacco a tutti gli affanni e le sofferenze delle esistenze umane. Senza essere né re né filosofo, l’uomo comune si può procurare nell’anfiteatro, al modesto prezzo di un biglietto, un surrogato di questo piacere.
La crudeltà come divertimento, che il cristiano definitivamente ripudia con il battesimo, non è dunque solo e in primo luogo una forma di sadismo, cioè una perversione patologica che, in quanto tale, potremmo pensare che non ci riguarda; molto più profondamente, la formula battesimale ci impegna a rinunciare alla tentazione — presente in ciascuno di noi — di esorcizzare la paura della morte attaccandoci al potere e all’illusoria sensazione di dominio che la morte o l’umiliazione dell’altro ci danno.
Potremmo però ritenere ugualmente che parlare di “pompa diaboli” sia anacronistico al giorno d’oggi: i combattimenti dei gladiatori non ci sono più, norme di sicurezza via via più attente tutelano l’incolumità di sportivi e attori, e addirittura la mentalità contemporanea tende ormai a espungere come “politicamente scorretto” ogni tipo di performance in cui vi sia anche solo traccia di qualche violenza persino nei confronti degli animali.
Tuttavia, a parte il fatto che, sotto il perbenismo e l’ipocrisia che dominano nel discorso pubblico, anche oggi prosperano circuiti più o meno clandestini basati sulla consumazione della violenza come spettacolo, quella che viene chiamata fortemente in causa dal richiamo del Papa è la nostra percezione “mediatica” della realtà.
Ogni giorno, infatti, la nostra conoscenza del mondo si forma non solo (e ormai tante volte verrebbe da dire “non tanto”) nell’esperienza diretta di esso, cioè attraverso un contatto diretto con le persone e con le cose in cui noi siamo presenti con l’integralità, anche corporea, della nostra persona, ma piuttosto nella distanza, o piuttosto nella separazione, che i media (la televisione, ma anche Internet, che sotto questo aspetto non segna una differenza radicale), ci consentono e ci impongono al tempo stesso.
Seduti davanti allo schermo del computer o davanti al televisore, o con in mano il nostro telefono di ultima generazione, abbiamo il mondo a nostra disposizione, ma come su uno schermo, appunto: vicinissimi a ciò che guardiamo (perché le cose talvolta si vedono addirittura meglio) ma radicalmente distanti (perché, dopotutto, non siamo lì), convinti di essere invulnerabili e, in fondo, non responsabili di ciò che vediamo, inorriditi ma ambiguamente attratti da tutto il male del mondo sciorinato davanti ai nostri occhi, non somigliamo forse anche noi all’antico fruitore degli spettacoli che vede morire a pochi metri da sé il condannato a morte o il gladiatore sconfitto?
Proprio su questo si innesta la seconda osservazione del Papa che, dopo aver spiegato come con quella formula di rinuncia battesimale il cristianesimo antico si riferisse ai grandi spettacoli cruenti, prosegue: «Oltre a questo significato immediato della parola “pompa del diavolo”, si voleva parlare di un tipo di cultura, di una “way of life”, di un modo di vivere, nel quale non conta la verità ma l’apparenza, non si cerca la verità ma l’effetto, la sensazione, e, sotto il pretesto della verità, in realtà, si distruggono uomini, si vuole distruggere e creare solo se stessi come vincitori».
A questo proposito è interessante rilevare che l’espressione “pompa diaboli”, in senso stretto, sembrerebbe alludere in modo specifico a una particolare fase dei “ludi”, quella processione (detta appunto pompa circensis) che apriva i giochi portando per le vie della città le immagini degli dèi. Tertulliano, non per nulla, nel suo “De spectaculis” dedica molta attenzione a questo tema, sostenendo che non importa se tale “pompa” è più o meno sfarzosa e appariscente perché in ogni caso offende Dio (7, 5).
Di solito si sottolinea, in queste affermazioni dei Padri, il nesso tra spettacoli e idolatria, e, sotto questo profilo, noi potremmo nuovamente sentirci un po’ lontani dalla loro problematica, ma c’è un altro aspetto forse più interessante da considerare. La “pompa”, la processione che inaugurava i “ludi” percorrendo le vie della città, era, di fatto, anche una sorta di estensione della dimensione spettacolare a tutto lo spazio urbano, al di là dei confini rigidamente delimitati degli spazi a essa deputati.
Nella cultura antica, la dimensione ludico-spettacolare, che pure ha un ruolo fondamentale nella vita della società, viene percepita in modo ambivalente (si pensi, per esempio alla contraddizione insita nella cultura romana, e non a caso polemicamente rilevata dai Padri, tra la passione per gli spettacoli e per i loro protagonisti e l’”infamia” della loro condizione). È qualcosa da tenere sotto controllo e, comunque, da limitare a tempi e spazi ben determinati. Il sistema ludico, però, ha una sua forza espansiva, tende a dilatarsi e a influenzare anche altri settori della vita sociale: si può ben parlare, in questo senso, di tendenza alla spettacolarizzazione della vita tout court.
È sotto gli occhi di tutti, e non c’è bisogno quindi di fare esempi per dimostrarlo, quanto questa tendenza si sia rafforzata nel mondo contemporaneo.
Per questo, nota ancora Benedetto XVI, «questa rinuncia era molto reale: era la rinuncia ad un tipo di cultura che è un’anti-cultura, contro Cristo e contro Dio. (…) Lascio adesso a ognuno di voi di riflettere su questa “pompa del diavolo”, su questa cultura alla quale diciamo “no”. Essere battezzati significa proprio sostanzialmente un emanciparsi, un liberarsi da questa cultura (…) in cui non conta la verità; anche se apparentemente si vuol fare apparire tutta la verità, conta solo la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione. Una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è, in realtà, una maschera per confondere, creare confusione e distruzione. Contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio, diciamo “no”».
Il Battesimo è la “prima scelta educativa come testimoni della fede” dei genitori verso i figli: “la scelta fondamentale!”. Lo ha detto, stamattina, Benedetto XVI, somministrando il Battesimo a 16 neonati, nella messa alla Cappella Sistina nella festa del Battesimo di Gesù. “Il compito dei genitori, aiutati dal padrino e dalla madrina – ha precisato -, è quello di educare il figlio o la figlia. Educare è molto impegnativo, a volte è arduo per le nostre capacità umane, sempre limitate. Ma educare diventa una meravigliosa missione se la si compie in collaborazione con Dio, che è il primo e vero educatore di ogni uomo”.
Parola di Dio e sacramenti. Nella prima Lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, ha ricordato il Papa, “Dio si rivolge al suo popolo proprio come un educatore”. Dio “vuole darci cose buone da bere e da mangiare, cose che ci fanno bene; mentre a volte noi usiamo male le nostre risorse, le usiamo per cose che non servono, anzi, che sono addirittura nocive. Dio vuole darci soprattutto Se stesso e la sua Parola: sa che allontanandoci da Lui ci troveremmo ben presto in difficoltà, come il figlio prodigo della parabola, e soprattutto perderemmo la nostra dignità umana”. E per questo “ci assicura che Lui è misericordia infinita, che i suoi pensieri e le sue vie non sono come i nostri – per nostra fortuna! – e che possiamo sempre ritornare a Lui, alla casa del Padre”. Richiamando, poi, il ritornello del Salmo, “Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza”, il Pontefice ha evidenziato che “come persone adulte, ci siamo impegnati ad attingere alle fonti buone, per il bene nostro e di coloro che sono affidati alla nostra responsabilità”. “Le sorgenti della salvezza” sono “la Parola di Dio e i sacramenti. Gli adulti sono i primi a doversi alimentare a queste fonti, per poter guidare i più giovani nella loro crescita. I genitori devono dare tanto, ma per poter dare hanno bisogno a loro volta di ricevere, altrimenti si svuotano, si prosciugano. I genitori non sono la fonte, come anche noi sacerdoti non siamo la fonte: siamo piuttosto come dei canali, attraverso cui deve passare la linfa vitale dell’amore di Dio”. Dunque, “se ci stacchiamo dalla sorgente, noi stessi per primi ne risentiamo negativamente e non siamo più in grado di educare altri”.
Il vero educatore. In realtà, “la prima e principale educazione avviene attraverso la testimonianza”. Il Vangelo di oggi “ci parla di Giovanni il Battista. Giovanni è stato un grande educatore dei suoi discepoli, perché li ha condotti all’incontro con Gesù, al quale ha reso testimonianza. Non ha esaltato se stesso, non ha voluto tenere i discepoli legati a sé”. “Il vero educatore – ha sostenuto Benedetto XVI – non lega le persone a sé, non è possessivo. Vuole che il figlio, o il discepolo, impari a conoscere la verità, e stabilisca con essa un rapporto personale. L’educatore compie il suo dovere fino in fondo, non fa mancare la sua presenza attenta e fedele; ma il suo obiettivo è che l’educando ascolti la voce della verità parlare al suo cuore e la segua in un cammino personale”. Prendendo spunto dalla seconda Lettura, il Papa ha ricordato che lo Spirito di Dio “rende testimonianza a Gesù, attestando che è il Cristo, il Figlio di Dio”: “Questo – ha affermato – ci è di grande conforto nell’impegno di educare alla fede, perché sappiamo che non siamo soli e che la nostra testimonianza è sostenuta dallo Spirito Santo”.
Sotto la guida dello Spirito. “È molto importante per voi genitori, e anche per i padrini e le madrine, credere fortemente nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo, invocarlo e accoglierlo in voi, mediante la preghiera e i sacramenti – ha dichiarato il Pontefice -. È Lui, infatti, che illumina la mente, riscalda il cuore dell’educatore perché sappia trasmettere la conoscenza e l’amore di Gesù”. La preghiera è “la prima condizione per educare, perché pregando ci mettiamo nella disposizione di lasciare a Dio l’iniziativa, di affidare i figli a Lui, che li conosce prima e meglio di noi, e sa perfettamente qual è il loro vero bene. E, al tempo stesso, quando preghiamo ci mettiamo in ascolto delle ispirazioni di Dio per fare bene la nostra parte, che comunque ci spetta e dobbiamo realizzare”. I sacramenti, specialmente l’Eucaristia e la penitenza, “ci permettono di compiere l’azione educativa in unione con Cristo, in comunione con Lui e continuamente rinnovati dal suo perdono. La preghiera e i sacramenti ci ottengono quella luce di verità grazie alla quale possiamo essere al tempo stesso teneri e forti, usare dolcezza e fermezza, tacere e parlare al momento giusto, rimproverare e correggere nella giusta maniera”.
Il dono della vita. All’Angelus il Santo Padre ha offerto “una breve riflessione sull’essere figli di Dio”. Prima, però, è partito dal “nostro essere semplicemente figli: questa è la condizione fondamentale che ci accomuna tutti. Non tutti siamo genitori, ma tutti sicuramente siamo figli. Venire al mondo non è mai una scelta, non ci viene chiesto prima se vogliamo nascere. Ma durante la vita, possiamo maturare un atteggiamento libero nei confronti della vita stessa: possiamo accoglierla come un dono e, in un certo senso, ‘diventare’ ciò che già siamo: diventare figli”. Questo passaggio, per Benedetto XVI, “segna una svolta di maturità nel nostro essere e nel rapporto con i nostri genitori, che si riempie di riconoscenza. È un passaggio che ci rende anche capaci di essere a nostra volta genitori – non biologicamente, ma moralmente”. “Anche nei confronti di Dio – ha aggiunto il Papa – siamo tutti figli. Dio è all’origine dell’esistenza di ogni creatura, ed è Padre in modo singolare di ogni essere umano: ha con lui o con lei una relazione unica, personale. Ognuno di noi è voluto, è amato da Dio”. E anche in questa relazione con Dio, ha rimarcato il Pontefice, “noi possiamo, per così dire, ‘rinascere’, cioè diventare ciò che siamo. Questo accade mediante la fede, mediante un sì profondo e personale a Dio come origine e fondamento della mia esistenza”. Con questo “sì”,- ha chiarito il Santo Padre, “io accolgo la vita come dono del Padre che è nei Cieli, un genitore che non vedo ma in cui credo e che sento nel profondo del cuore essere il Padre mio e di tutti i miei fratelli nell’umanità, un Padre immensamente buono e fedele”. La fede in Dio Padre si basa “su Gesù Cristo: la sua persona e la sua storia ci rivelano il Padre, ce lo fanno conoscere, per quanto è possibile in questo mondo. Credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, consente di ‘rinascere dall’alto’, cioè da Dio, che è Amore”. Questo è “il senso del sacramento del Battesimo: è una nuova nascita, che avviene grazie allo Spirito Santo nel grembo della Chiesa”. “Dio si è fatto figlio dell’uomo, perché l’uomo diventi figlio di Dio. Rinnoviamo perciò la gioia di essere figli: come uomini e come cristiani. Nati dall’amore di un padre e di una madre, e rinati dall’amore di Dio, mediante il Battesimo”, ha concluso Benedetto XVI.