POSSA LA FORZA DELLA SPERANZA RIEMPIRE IL NOSTRO PRESENTE, NELL’ATTESA FIDUCIOSA DEL RITORNO DEL SIGNORE GESÙ CRISTO
Omelia di S.E. Mons. Giovanni Checchinato per l’inizio dell’Anno Giubilare – Cattedrale Cosenza
Cominciamo questo anno Giubilare nella nostra casa comune, la Cattedrale di Santa Maria Assunta di Cosenza, con un atto celebrativo che vuole rappresentare qualcosa di più di un semplice rito, perché si apre alla manifestazione della nostra identità di chiesa, popolo di sorelle e fratelli che si riconosce bisognoso di una voce che ci convochi e ci ammaestri, ci inviti al banchetto dell’Agnello per essere nutriti della sua stessa vita e diventare così seme del Regno pronto a fecondare il mondo con la nostra presenza.
La simultanea presenza dei testi liturgici della festa della santa famiglia di Nazaret ci aiuta a qualificare con una sfumatura sua propria l’inizio di questo Anno giubilare ricordandoci una grande verità che corrisponde al nostro essere, un essere in relazione, che ha bisogno degli altri per poter crescere nella propria identità di persona. Il primo dono di questo giubileo si colloca, dunque, all’interno di questa celebrazione natalizia che ci ricorda la santa famiglia, ma ancor di più la nostra vocazione ad essere un’unica grande famiglia, tutti figlie e figlie dell’unico Padre nostro Creatore e Signore.
Una famiglia, quella di Nazaret, che viene colta in un momento critico della sua storia umana: abbiamo ascoltato gli antefatti del ritrovamento di Gesù fra i maestri mentre li ascolta e li interroga. La madre rivela a Gesù il sentimento provato da lei e da Giuseppe in questa situazione: l’angoscia. È un sentimento potente l’angoscia, che viene definito dal dizionario “doloroso e oppressivo”, una emozione dunque capace di togliere lucidità e impedire un reale contatto con il dato di realtà di ciò che si sperimenta. Abbiamo tutti fatto esperienza di questo sentimento nei confronti del mondo in tempi più o meno recenti e magari siamo stati tentati di chiuderci ancora di più nella esperienza negativa che ci tormentava senza trovare vie d’uscita. Abbiamo perso la speranza. In questo anno santo in cui siamo invitati a cercare e ritrovare la speranza che non delude, Maria e Giuseppe ci insegnano ad affrontare le angosce del mondo con il loro atteggiamento e le loro scelte.
La prima scelta è accorgersi: e loro si accorgono che Gesù non è con loro. Non è così scontato accorgersi di quello che succede, c’è bisogno di occhi allenati o di occhi innamorati. E ci si allena decentrandosi da sé, emancipandoci dai nostri pregiudizi, dalle certezze che talora ci ingabbiano, per essere pronti a leggere quanto si presenta davanti a noi, senza giudizi, pronti ad accogliere e a metterci a servizio. E possiamo poi chiedere al Signore di regalarci occhi che sanno leggere con amore, gli occhi degli innamorati sanno parlarsi anche senza parole, o gli occhi dei genitori verso i figli che sanno leggere in anticipo, o gli occhi dei santi che sanno leggere la storia con gli stessi occhi di Dio. I genitori di Gesù si accorgono, dunque, che il figlio non è dove dovrebbe essere, provano smarrimento e dolore, e si muovono. Non si lasciano paralizzare dall’angoscia, non si chiudono nello smarrimento, ma si mettono a cercarlo e poi non avendolo trovato tornano in cerca di lui a Gerusalemme -così ci dice il testo-. Il Giubileo che ci propone la speranza come meta del nostro cammino ci fa questo augurio: “Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni.” Ci può capitare di essere un po’ impigriti dallo stile di vita a cui siamo abituati; in fondo abbiamo tantissime cose a disposizione, sicuramente molte più dei nostri genitori o nonni, e questo certamente facilita e velocizza il nostro lavoro; ma qualche volta ci sentiamo un po’ in affanno se dobbiamo muoverci per pensare ipotesi, soluzioni, per creare alternative a quanto sosteniamo non vada secondo le nostre aspettative. La speranza come sfondo permanente della nostra vita ci aiuta a muoverci anche quando tutto attorno sembra paralizzato, o quando siamo tentati di paralisi anche noi. Maria e Giuseppe, precursori del Giubileo ci insegnano che la speranza si riceve come dono nel battesimo, ma va alimentata con la vita, con scelte coraggiose, con il tentare e ritentare come hanno fatto loro.
La seconda è l’ascolto: alla fine del loro cammino ascoltano la parola di Gesù: anche se nel testo evangelico Gesù ha solo 12 anni, ascoltano la parola del loro figlio. Avranno anche pensato: è sì un ragazzo speciale, ma ad ogni buon conto ha solo 12 anni! Capita così anche a noi quando pensiamo che il Vangelo sia una parola bella per le buone occasioni, la consolazione più o meno formale da dare agli altri ma che non vale certamente per noi, o che può funzionare fino a che vai a catechismo… Nonostante tutto Maria e Giuseppe lo ascoltano e vedono che gli stessi maestri del tempio sono pieni di stupore per le parole di Gesù. Saranno loro che qualche anno dopo lo condanneranno a morte, ma per ora si lasciano affascinare dalle parole di questo ragazzino che ne sa di più di loro. E davvero dobbiamo registrare come tante sorelle e fratelli lontani dalla chiesa, talora sono più appassionati di noi delle parole preziose del vangelo. Questo ulteriore tratto ci può suggerire una scelta da attuare in questo tempo giubilare: l’ascolto del vangelo, fatto da soli, insieme, creando occasioni per commentarlo insieme, o semplicemente ascoltarlo con attenzione. Accogliendo le provocazioni che a distanza di duemila anni continua a offrirci, sbaragliando le nostre certezze e invitandoci a prenderlo sul serio.
Terza scelta: la fatica di accogliere e la custodia del cuore. Ci sono due dati che accompagnano il momento successivo dell’ascolto che l’evangelista Luca registra con attenzione: il primo è che Maria e Giuseppe non comprendono il senso delle parole di Gesù e il secondo è la annotazione che Maria “custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Possiamo accogliere anche questi due particolari del vangelo come suggerimenti al percorso di questo giubileo. Anche loro non comprendono quanto il Signore sta compiendo nella loro vita, nella storia, perché quanto il Signore compie è “non è solo oltre i nostri sforzi, è anche oltre le nostre visioni. Nella nostra vita noi riusciamo a compiere solo una piccola parte di quella meravigliosa impresa che è l’opera di Dio. Niente di ciò che facciamo è completo. Che è come dire che il Regno sta più in là di noi stessi”. (Romero) Il Giubileo possa diventare allora per noi non solo l’occasione per annunciare la speranza della salvezza cristiana, ma anche l’occasione per metterci affianco agli uomini e alle donne della terra e cercare insieme i segni di speranza che Dio continua a gettare nel campo della storia. Sono segni reali, ma minuscoli, abitano le realtà piccole e periferiche, e non conoscono confini di sorta. Il secondo dato è l’atteggiamento di Maria che custodisce nel cuore: Maria è donna vigilante, la donna dell’attesa e del silenzio. Di lei il Vangelo ci riferisce pochissime parole e potrebbe essere bello imparare da lei in questo anno santo a parlare di meno, ad ascoltare di più, a prendere più spesso la posizione di sfondo piuttosto che sul proscenio, per vivere la nostra interiorità in maniera più adeguata come ci ricorda Ignazio di Loyola: “Non è il molto sapere che sazia o soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente”. Ma non si può sentire se c’è chiasso: abbiamo allora bisogno di cercare e trovare luoghi dove la colonna sonora della giornata sia musicata dalla vita, dalla natura, dal silenzio. Nel testo biblico troviamo scritto che il Giubileo è anno di riposo, di sosta, di contemplazione. Che questo Giubileo sia occasione di silenzio, di sosta, di contemplazione che ci riportino a ritmi più umani, più corrispondenti al nostro essere, al vero desiderio che ci abita dentro.
Chiediamo al Signore per ciascuno di noi e per la chiesa tutta, in questo atto ufficiale di apertura del giubileo, quanto è già stato in modo sublime nella santa famiglia di Nazaret: la capacità di accorgerci della storia che il Signore ci dona da vivere, il dinamismo necessario per abitarla da risorti, l’ascolto assiduo della sua Parola contenuta nelle Scritture, la custodia del cuore garantita dal clima di silenzio che lo difende. E che questo cammino ci apra alla speranza e “permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri”. (Bolla Indizione)