Carissimi,
avrei voluto scrivervi questa pagina in un clima di raccoglimento.
In chiesa, per esempio, come ho fatto altre volte.
Anzi, nel cuore di una veglia notturna.
L’attacco della prima lettera di Giovanni giunge, infatti, alla stretta decisiva: il nostro coinvolgimento nel mistero trinitario. Si tratta dell’estuario finale verso cui precipita ogni annuncio catechistico. Merita, perciò, riparo da dissipazioni e verginità di silenzi.
Per coglierne la forza, non c’è momento migliore che quello della notte.
Ma stavolta non mi è stato possibile sfruttarne la quiete.
E mi ritrovo qui, in pieno giorno, nella sacrestia di una parrocchia, dove sto facendo la visita pastorale.
Non riesco, però, a concentrarmi. C’è tanta gente lì fuori che vuole parlarmi e viene a raccontarmi i suoi problemi, che non sono quasi mai di natura altamente teologica.
Pazienza. Proverò a scrivere qualcosa tra un colloquio e l’altro.
Ma l’agenda si infittisce di ben altri appunti.
Chiamare Anna, che se n’è tornata a Trani da sua madre, e ha lasciato qui a Molfetta marito e tre figli. Mettersi in contatto con don Picchi per trovare un posto a Nadia che si buca. Andare in via Mazzini a visitare Michele che, vittima di un esaurimento, si è chiuso a riccio e non vuole aver contatti con nessuno. Parlare con la superiora dell’asilo per vedere se può prendere gratis nella scuola materna il bambino di una ragazza madre.
Dio, che tristezza!
Come è difficile raccordare col mistero trinitario questo strano girotondo di persone ferite, di situazioni sconsolate, di conflitti insanabili, di violenze sotto traccia.
Che fatica a combinare il vocabolario suggerito dalla dottrina biblica con quello urlato dalla disperazione degli uomini.
Quanto è lontana la luce dei cieli da questi crespuscoli vermigli della terra, tinti di lacrime e di sangue.
In cima a un foglio ho segnato: «mutua immanenza delle persone divine». Ma che cosa
ha da spartire questo concetto, che pure avrei voluto spiegarvi, col settanta per cento di invalidità di Luigi, che mi sono annotata più sotto, nella speranza di segnalarla alla Casa di riposo dove non hanno voluto accogliere sua moglie anch’essa anziana e malata di diabete?
Che senso ha che, sul dritto del foglietto degli appunti, abbia abbozzato alcune frasi sull’inabitazione della Trinità nell’anima dell’uomo, e sul rovescio mi ritrovi il numero telefonico del «SUNIA» presso cui stasera dovrò protestare perché a una famiglia numerosa, che abita in un locale diroccato fuori mano, non hanno concesso il punteggio giusto per l’assegnazione delle case popolari?
No. Non ce la faccio proprio, carissimi catechisti, a continuare il discorso sulla dimora inaccessibile di Dio dove un giorno, «con-morti», «con-sepolti», «con-risuscitati», «con-siederemo» con Cristo per sempre, proprio mentre un pover’uomo, dall’aspetto un po’ ebete, insiste perché vada a trovare il figlio handicappato nell’umido sottano dove abita da vent’anni.
Ma che cos’è questo sortilegio che mi impedisce di parlarvi dell’amore eterno del Padre, della consustanzialità del Figlio, e della forza ricreante dello Spirito, dirottandomi, dalle autostrade a scorrimento veloce della riflessione trinitaria, sulle viottole impervie di questa così terribile quotidianità?
E perché proprio i fogli di un’agenda, su cui avrei dovuto raccontare dello Spirito che «geme dentro di noi», si vergano di note che raccontano i gemiti della povera gente?
E perché la meditazione che pure avevo deciso di farvi sulla condiscendenza del Figlio e sul suo abbassarsi al nostro livello e sul suo voler fare tutt’uno con noi, è stata soppiantata sul mio block-notes da un malinconico pro-memoria che mi ricorda il tentativo di far fare la pace, domani, tra Maria e suo fratello Giovanni, il quale ha torto marcio ma che, essendo più grande, non vuole piegarsi a chiederle scusa?
E perché gli appunti che avrei dovuto riservare alla giustizia e alla misericordia del Padre, quasi per una incredibile dissolvenza si tramutano, sotto la mia penna, nel rilievo che quel giovane medico ha subito un’ingiustizia colossale al concorso della USL e che Antonella, scappata da casa e sposatasi con un divorziato, non ha più trovato pietà presso i suoi genitori?
È inutile. Non ce la faccio proprio a sollevarmi alle vertigini trinitarie. Sono troppo impantanato nei problemi dei nostri umani crepacci.
Mi fermo qui. Forse sono troppo stanco.
Se mi riuscirà, stanotte riconsidererò tutto, nel silenzio della mia cappella. Per ora perdonatemi.
Vi saluto.
13 maggio 1990 + don TONINO, Vescovo
PS. Ho rimeditato stanotte su quanto ho scritto ieri. Il Signore mi ha suggerito di non cambiare neppure una virgola. Forse è proprio vero che le strade del cielo attraversano i poveri incroci della terra.