NOI LO ANNUNZIAMO ANCHE A VOI
Carissimi catechisti,
non basta aver visto, se poi non si comunica agli altri ciò che è accaduto sotto i nostri occhi. Non basta aver udito, se poi si ammutolisce davanti al tribunale della storia. Non basta aver contemplato, se non si attua quel «passa parola» che provoca brividi di gioia sulla pelle di chi l’ascolta. E non è sufficiente aver toccato con mano, se la scossa elettrica di una esperienza non viene trasmessa.
Uno che vede e che ascolta e poi tace può appartenere ad una cosca mafiosa, ma non alla categoria dei testimoni.
Uno che tocca e contempla e poi tiene tutto per sè, potrà essere membro della camorra o di qualche onorata società, ma non potrà mai chiamarsi apostolo.
Se le espressioni non si prestassero ad equivoci, mi verrebbe la voglia di dire che il cristiano è colui che non sa tenersi un segreto in bocca. E che non vede l’ora di trovare qualcuno a cui vuotare il sacco. E che si sente così schiacciato dal peso di una incredibile «buona notizia», che vorrebbe avere davanti a sé le telescriventi dell’Ansa per poterla diffondere in un baleno.
Il cristiano, insomma, è un inviato speciale che, una volta preso atto di un avvenimento, trova pace soltanto quando può comunicare col suo pubblico.
La notizia, infatti, provoca dentro di lui uno spasimo tale, che gli diventa impossibile tenerla prigioniera. Gli scoppia allora nel petto, e trabocca fuori nella colata lavica delle parole. Poco importa se con tumulto di linguaggio o con eleganza di espressioni, con la logica stringente dei processi razionali o con l’impeto scoordinato dei coinvolgimenti emotivi.
Sono gli scherzi delle «buone notizie». Ti bruciano l’anima se non le metti in circolazione. E, mentre ti esaltano per l’incontenibile gioia che destano dentro, si coprono perfino di un velo di tristezza se sono fruite solamente da te.
Quante volte succede che se assisti da solo a un imprevisto spettacolo, o ti trovi inaspettatamente al centro di una scena che ti riempie di felicità, corri col pensiero alle persone che ami, rammaricandoti che in quel momento esse non stiano con te!
E quante volte, mettendoti a descrivere un’esperienza esaltante che hai vissuto da solo, avverti che le parole non ti bastano, e che i sentimenti più profondi diventano intraducibili, e che avresti bisogno di ben altri mezzi espressivi (forse di musica, di urli, di disegni), per far capire agli altri ciò che ti ha interiormente toccato.
Eccoci, condotti, allora alla dimensione fondamentale del nostro essere cristiani, descritta in tutti i documenti della Chiesa con due parole: «chiamati» e «inviati».
Sono due parole inseparabili tra di loro: nate, si potrebbe dire, l’una per l’altra.
Succede, però, non di rado che su questa accoppiata si tenti una separazione illegale. E succede anche che, a mettere in atto tale divorzio, siano persone pie sul cui amore per Gesù Cristo apparentemente è difficile avanzare dubbi. Eppure è così.
Gente che interrompe il circuito. Che spezza la catena di trasmissione. Che si accaparra con criteri da monopolio un annuncio universale e ne blocca la portata di salvezza. Che frena un flusso di grazia, destinato per tutti, facendolo ristagnare nelle vasche private. Che si abbevera alla fonte senza attingere un bicchiere d’acqua per gli altri. Che sotterra il talento in luogo nascosto, e lo custodisce con gelosia per paura che gli venga sottratto o che, messo in circolo, gli si dimezzi il vantaggio.
Non c’è che dire: se è vero che il consumismo è l’uso delle cose orientato prevalentemente al soddisfacimento dei bisogni personali, non è fuori posto osservare che può serpeggiare una forma esecrabile di consumismo spirituale anche all’interno della vita cristiana.
Chi sa che il Signore quando esclamò: «Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti», non intendesse dire che il deficit di tanti credenti si verifica proprio sul versante di un annuncio che non corre, di un messaggio che viene dragato dalle nostre lentezze, di una buona notizia che viene affossata dai nostri bavagli.
A tutti voi, cari catechisti, l’augurio che il Signore vi faccia diventare portavoce dei suoi pensieri, infaticabili ripetitori delle sue dichiarazioni d’amore per l’uomo, fattorini solleciti delle sue premure per tutti.
E i destinatari dei telegrammi che consegnerete a domicilio, dopo che ne hanno letto il messaggio, possano benedirvi.
Vi saluto
+ don TONINO BELLO