CIÒ CHE ERA
FIN DA PRINCIPIO
Carissimi catechisti,
vi scrivo da Nazareth. Anzi, dal cuore di Nazareth. Vicino a quel cratere misterioso dove Dio si è fatto uomo, e da dove è partito tutto.
Assorto dinanzi alla grotta del «sì» di Maria, scavo con gli occhi lo spessore del tempo, nella speranza di poggiare lo sguardo su quella patina di roccia dove «colui che era fin da principio» ha poggiato i piedi.
Ma non riesco a forare le stratificazioni di venti secoli, per mettere a nudo il livello di calpestio dei suoi passi.
Gli archeologi ci sono riusciti. Io no.
È un’avventura al limite dell’assurdo, che mette in crisi la mia fede. Perchè è difficile immaginare che tra quelle pietraie abbia collocato la sua dimora «colui che cavalca i cherubini, e si libra sulle ali del vento, e fa delle nubi il suo carro, e stende il cielo come una tenda, e costruisce sulle acque la sua dimora…».
Mi lascio sedurre dalle risonanze dei salmi.
Mi accorgo, così, che il problema non è scavalcare a ritroso duemila anni e raggiungere quel punto zero della storia che ha registrato il momento dell’incarnazione del Figlio di Dio. Tutto sommato, anche se è da ingenui voler scorgere sui sassi le impronte digitali di Gesù o disseppellire i ciottoli sui quali ha impresso le sue orme, è già una incredibile soddisfazione spirituale poter contemplare i monti di Galilea e poter dire: ecco, lo stesso profilo di monti che entra nelle mie pupille è entrato anche nelle pupille di Gesù. Egli ha visto, nelle sue notti insonni, le medesime costellazioni che vedo io stasera. E come me, anch’egli ha percepito l’acre profumo di pervinca che mi ha perseguitato tutto il giorno. E ha contemplato anch’egli come me, lui con cento presagi, io con mille rimorsi, gli stami della passiflora.
Il problema vero, piuttosto, è coprire la distanza che separa il punto zero da quel «principio» in cui «era il Verbo», come dice Giovanni. Dov’è questo «principio»? Dove sono i colli eterni da cui egli è partito? In quale abisso siderale di luce sprofonda il suo esistere da sempre? In quali falde misteriose risiedono le sorgenti la cui
acqua è venuta a lambire la terra? E perché proprio su questa battigia desolata? A quale arcano disegno d’amore ha inteso obbedire quando, attraversata la compattezza dei secoli dei secoli, lui, l’increato che i cieli non possono contenere, è venuto ad arenarsi in questa insenatura calcarea che sta davanti a me? Ed è mai pensabile che il disegno universale di salvezza, scritto sui rotoli di Dio fin dall’eternità, abbia trovato qui, in questi tuguri di pecorai, il bandolo da cui si è dipanato?
Péguy parlava di carnalità della grazia! E forse devo adattarmi a leggere in questa frase l’unica risposta capace di placare il tumulto delle mie forsennate domande.
Carnalità della grazia. Salvezza che ci raggiunge solo attraverso interstizi di grembi. Sollecitudini trinitarie che possono farci trasalire unicamente mediante sorrisi umani e inflessioni di parole e curvature di carezze. Circuiti celesti d’amore che toccano i nostri corpi terreni solo per via di lampeggiamenti di occhi, di fragranze di sudori, di brividi sulla pelle, di lacrime sul viso. Sentieri fioriti dell’eterno che, per incrociare l’uomo, si fanno viottole terrene,
e passano dai nostri pozzi, e si sfilacciano nelle nostre valli, e si inerpicano sui nostri colli, e sfiorano le nostre case. Come questa casupola di Maria, nella quale il respiro di Dio, prima di farsi rantolo di morente, si è fatto alito di bambino, profumato di latte materno e di basilico.
Se vuoi essere universale, parlami del tuo villaggio. Forse, chi ha detto così ha proprio pensato alla Nazareth di Gesù, questa incredibile concentrazione di povertà, che ha rivestito del suo dialetto i linguaggi universali di Dio e ha circoscritto nell’umiltà delle sue saggezze paesane la Sapienza del Verbo.
Cari catechisti, finisco qui per non fare naufragio.
Ma se un annuncio di gioia posso darvelo anch’io, come l’ha dato Gabriele, voglio dirvi così: non temete! Se «colui che è da principio» non ha disdegnato questi sassi, non disprezzerà neppure i macigni del vostro povero cuore. Sappiate offrirglieli, perchè stabilisca in mezzo agli uomini il suo domicilio.
E continuerà, anche per il vostro «sì», l’avventura della redenzione.
Vi saluto,
26 novembre 1989 + don TONINO, Vescovo BELLO