PER UN SOLO GIUSTO

di don Tonino Bello

Carissimo Abramo,
nell’aria c’è odore di zolfo.
Non meno acre di quello che si levò da Sòdoma e Gomorra. Anche se, ai tuoi tempi, i sistemi di guerra erano più crudeli.
Stando a quel che si legge nella Bibbia, quando passavate voi da un villaggio, con le armi in pugno, era peggio di quando passa un cilindro sul bitume delle moderne autostrade. Non c’era pietà per nessuno. La barbarie prendeva il sopravvento. Il saccheggio eccitava i predoni. I cadaveri venivano spogliati sul campo. E il ciclone della violenza si abbatteva senza misericordia anche sulle donne e i bambini.
Certo, gli eccessi erano spiegabili, visto che la guerra era una impresa a conduzione pubblica, che doveva rendere soprattutto sul piano economico, e che i combattenti, al di là del bottino, non avevano altro soldo. Oggi, grazie al cielo, le cose vanno meglio. I soldati vengono regolarmente pagati. La barbarie è diventata più civile. La crudeltà si è fatta meno selvaggia. E la violenza si è messa gli abiti della cortesia.
Abbiamo compiuto progressi, insomma, anche in fatto di guerra. Non più da feroci mandriani, armati di clave e assetati di razzie, ma da signori in doppiopetto che maneggiano i trattati. Non più da rapaci predatori che si aggirano attorno alle carovaniere del deserto, ma da rispettabili probiviri che si aggirano tra i labirinti delle intese internazionali.
Ci è rimasta solo la sete del bottino.
Ma, al di là di questo trascurabile particolare, tutto il resto è cambiato. O Dio, la gente viene ammazzata lo stesso: però con più eleganza di forme. I diritti dei popoli vengono calpestati ugualmente: però col rituale dei negoziati diplomatici. Le donne e i bambini cadono sempre per primi: ma decimati dalla fame, e non più crudelmente trafitti dalla spada.
La storia dell’embargo, per esempio, ai tuoi tempi non c’era.
Allora bastava l’assedio per impedire l’introduzione nella città nemica dei prodotti alimentari. Faceva parte della logica di guerra: uno la accettava come un numero del programma, e amen!
Oggi, invece, si usa l’embargo, che consiste nel blocco economico sul traffico dei generi di prima necessità, medicinali compresi. Con questo di perverso: che passa ipocritamente come un metodo alternativo alla guerra, mentre è guerra bella e buona. Anzi, brutta e maligna. Perché le vittime privilegiate sono gli indifesi, i deboli, i poveri. Gli innocenti, insomma: che muoiono presi per gola o per malattia. Poco importa se di morte incruenta. Come sta accadendo, in questi giorni, dalle parti dove abitavi tu, prima che giungessi in terra di Canaan.
Gli innocenti, appunto.
È per essi che ti scrivo. Perché, di tutti i personaggi biblici, tu mi sembri l’unico ad aver impostato con chiarezza il problema se sia giusta la rappresaglia contro un popolo,
qualora a farne le spese, insieme ai malvagi, dovessero essere anche gli innocenti.
L’episodio ci viene raccontato al capitolo diciotto della Genesi.
Poco prima che le città di Sòdoma e Gomorra venissero distrutte dallo zolfo e dal fuoco (le armi chimiche, come vedo, esistevano anche ai tuoi tempi), tu avesti il coraggio di mettere in guardia il Padreterno da una colossale ingiustizia che stava per accadere: l’eventualità che dei giusti, cioè, venissero annientati con i peccatori.
Lungi da te il far morire il giusto con l’empio… Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?
Intraprendesti allora col tuo altissimo interlocutore quella stupenda trattativa diplomatica, in cui non si sa se ammirare di più la scaltrezza del beduino, o la fiduciosa perseveranza dell’intercessore, o l’abilità con cui rovesciasti i termini del problema: invece che coinvolgere gli innocenti nella sorte dei malvagi, perché non salvare anche i malvagi a causa di pochi innocenti?
Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a
quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?
Ti mettesti poi, con sorprendente audacia, a giocare al ribasso con Dio: Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?
Da cinquanta, a quarantacinque, a quaranta, a trenta, a venti, a dieci… Una bella faccia di bronzo, insomma. Ma Dio si lasciava sedurre dalla tua confidenza, e sembrava che ci godesse a perdere terreno con te. Peccato che ti fermasti a dieci. Non hai avuto il coraggio di andare oltre. Di arrivare a uno. A uno solo. Ma sei scusabile. Non potevi mai supporre che la logica di Dio camminasse sulla linea di quel paradosso che avevi imboccato tu: un giorno, per un solo giusto, il servo innocente, si sarebbe salvato dalla perdizione l’intero genere umano.
La storia di Sòdoma e Gomorra sappiamo come andò a finire. Le due città vennero distrutte perché di giusti non c’era manco l’ombra. Però tu hai avuto il merito di porre per primo, in termini drammatici, il problema cruciale che emerge dietro ogni
guerra: se è moralmente ammissibile, cioè, che degli innocenti debbano morire coinvolti nell’iniquità altrui.
Da allora, purtroppo, il problema è rimasto sempre in piedi. Anche perché non ci siamo mai decisi ad assumere come paradigma la condotta di Dio: Per riguardo a loro, perdonerò a tutta la città.
Ed eccoci tornati alla storia dei nostri giorni. Anzi, alla cronaca minuziosa di una guerra annunciata, che ha mosso implacabile verso il suo possibile epilogo.
La distruzione di Sòdoma incombe come punizione esemplare, nel vigliacco silenzio sulle cento altre Gomorra che quotidianamente arrecano violazioni allo stesso diritto internazionale.
Il Golfo Persico è divenuto il meeting di paurose scenografie militari allestite, così si dice, per ristabilire la giustizia compromessa. Tutto è pronto per il fuoco e lo zolfo, con cui castigare l’iniquità di chi ha compiuto intollerabili soprusi contro un altro popolo. Ma qui è il punto! Se la guerra è già esecrabile in radice per quel tasso di violenza animale che si sprigiona dalla sua logica, il fatto che ogni guerra, sparando nel mucchio, uccida inesorabilmente dei “giusti” non la rende iniqua per sempre, anche quando pretende di ristabilire una giustizia vilipesa?
Ecco, padre Abramo, anche noi siamo sconcertati come te, e ci poniamo gli stessi drammatici interrogativi che ti ponesti tu di fronte alla sorte degli innocenti.
È giusto mettere in atto un dispiegamento così osceno di forze internazionali per assicurare l’attuazione delle sanzioni imposte all’Iraq, senza chiedersi se a pagare l’estratto conto dell’embargo saranno i bambini che muoiono per fame e per carenza di medicinali?
È umano oggi, con la coscienza progredita che ci vantiamo di avere, ipotizzare un’azione militare in cui anche una sola persona innocente debba morire, quando sappiamo che la guerra travolgerebbe in un olocausto senza precedenti milioni di esseri incolpevoli?
È lecito ritenere di aver superato la logica dei cavernicoli, quando sappiamo che gli strateghi militari hanno già fatto i loro calcoli, in termini di vite umane, sul costo della guerra e sul numero dei morti civili, necessari per sedersi con autorità al tavolo delle spartizioni?
È forse meno iniqua la violenza quando il suo monopolio si trasferisce dalle sovranità nazionali a quella internazionale, così come è avvenuto con la recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza? O, per caso, una guerra sponsorizzata dall’ONU si potrebbe fregiare come giusta, riprendendosi così un aggettivo da cui una lunghissima riflessione morale la stava ormai dissociando? O il disco verde, anche se rilasciato all’umanità dai plenipotenziari della terra, libererebbe la coscienza di tutti dal rosso del sangue innocente?
È accettabile il principio che, per consegnare i rubinetti del petrolio ai pochissimi proprietari, valga la pena consegnare a morte violenta innumerevoli giusti? Dimmi, padre Abramo. È possibile ancora scommettere sull’intelligenza dell’uomo? Può valere a qualcosa richiamare la responsabilità dei potenti della terra sulla presenza dei “giusti”? O dobbiamo affidarci ormai unicamente a un miracolo di Dio?
Se è così, ci pianteremo davanti a lui. Per supplicarlo come facesti tu. Affinché odore di zolfo non si alzi mai più dalla città.

N.B. Questa lettera è stata scritta qualche mese prima della guerra nel Golfo

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