9. L’Èffeta
Èffeta è una parola aramaica che fa riferimento a un testo del vangelo dove Gesù guarisce un sordomuto e dice questa parola: èffeta che vuol dire apriti; è l’imperativo di un verbo che vuol dire apertura, c’è la parola פֶּתַח che vuol dire “porta” in ebraico da cui deriva questo verbo. Allora l’atto che viene fatto è questo: il celebrante tocca con il pollice le orecchie e le labbra dei battezzati che ricevono quest’ultimo segno dicendo: «il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di professare la tua fede a lode e gloria di Dio tuo padre». Questa è la formula. Allora dobbiamo capire da dove viene questo rito. In realtà questo rito nel battesimo dei bambini è l’ultimo punto, è l’ultimo rituale di questa nuova formulazione del rito del battesimo dei bambini. Ricordiamo che questo è il rito come lo abbiamo dopo la riforma liturgica, dopo il Concilio Vaticano II. In realtà nel battesimo degli adulti, tutt’oggi, è un rito pre-battesimale perché di fatto riguarda l’esercizio dei sensi; e mentre il battesimo dei bambini viene fatto in vista della formazione cristiana, in vista della crescita che è affidata alle famiglie, ai padrini, alla comunità ecclesiale per l’assimilazione della potenzialità di tutti questi riti che noi abbiamo visto in questi nostri incontri che abbiamo fatto sul rito del battesimo, invece nel caso degli adulti dev’essere una cosa già acquisita, cioè si concede il battesimo a un adulto perché questa cosa qui di cui si parla è già avvenuta. E di cosa si parla?
Bene, cosa tocchiamo noi con questo argomento? La bocca, l’orecchio: le funzioni sensoriali. E le funzioni, l’esercizio della comunicazione sono due aspetti collegati. La comunicazione in sé è un argomento piuttosto centrale. Di fatto l’uomo è comunicazione, l’uomo è relazione. Consacrare il suo parlare, consacrare il suo udire vuol dire saper sbloccare l’alterità, saper parlare, saper ascoltare, saper risolvere quella problematica naturale che tutti abbiamo: il saper parlare veramente, il saper ascoltare, il saper ricevere una parola da qualcun altro. In fondo tutto questo viene posto come ultimo atto che fa l’eletto prima del battesimo. Infatti il sabato mattina del battesimo degli adulti, nel sabato santo, c’è questo rito dell’èffeta che è concomitante con la professione di fede dell’adulto che sta per essere battezzato. Nel caso del bambino invece appunto è il viatico finale del rito.
Noi sappiamo una cosa: introdurre nel battesimo, introdurre nella vita battesimale è l’introdurre nella vita dei figli di Dio. L’altra vita che vita è? È una vita di chi parla, ma non sa parlare. Ascolta, ma non sa ascoltare. È una vita in cui non si varca il fossato della distanza con l’altro. In fondo è la vita della solitudine. La solitudine è il non saper parlare. La solitudine è il non saper ascoltare. Che cos’è la vita battesimale? E’ la comunione, è l’amore, è il saper dire una cosa al cuore dell’altro, è il saperlo ascoltare veramente. Tutto questo qui direttamente nel rito fa riferimento proprio all’esercizio della fede, al saper ascoltare la parola di Dio e al saper professare la fede in Dio. Questa è una cosa interessante che dobbiamo un po’ capire. Come mai per arrivare alla comunicazione felice con il prossimo dobbiamo in realtà partire dall’ascolto della parola di Dio e dalla professione di fede in Dio?
Quindi la premessa necessaria per poter avere una comunicazione valida, buona con il prossimo è quella di partire dall’ascolto della parola di Dio e dalla comprensione della parola di Dio.
Senza dubbio. È un cambiamento dell’essere. Noi abbiamo a che fare sempre e comunque con creature già viventi, non stanno nascendo adesso. Anche un bimbetto appena nato, che viene battezzato ha la sua vita naturale, gli stiamo conferendo qualcosa che poi certamente dovrà assimilare, di cui si dovrà appropriare, ma stiamo conferendo a lui una nuova vita, una vita soprannaturale. E questa vita soprannaturale da cosa nasce? Da cosa nasce il saper ascoltare in una maniera diversa, non secondo l’uomo naturale, ma secondo una forma nuova? Nasce da qualcosa che riesca a bucare il muro della nostra sordità.
Siamo qui di fronte alla necessità di sottolineare un testo che soggiace a tutto questo discorso e a questo rito. È curioso notare che il testo più citato, uniformemente citato da tutti e quattro i Vangeli dell’Antico Testamento è un testo del profeta Isaia che dice: «hanno bocca e non parlano, hanno orecchi e non odono, hanno occhi e non vedono». È un testo che compare in tutti e quattro i Vangeli ed è un testo che parla della difficoltà che si ha nel vedere, ma non vedere. Avere bocca, ma non parlare, avere orecchi, ma non udire, avere una difficoltà (questo è in realtà un cocktail di citazioni più che una citazione vera e propria); è una difficoltà comunicativa, una difficoltà nella gestione dei propri sensi. L’uomo nasce sordo non nel senso di non avere la capacità uditiva, ma qualcosa deve rompere la sua sordità. C’è qualcosa che non è nei suoni di questo mondo e che può arrivare al mio cuore e che solo la parola di Dio contiene. C’è qualcosa che deve arrivare al mio cuore, che il mio cuore aspetta e che io dovrò saper dire, accettare e dirgli di sì. È qualcosa che l’uomo non sa.
Cosa sa un bimbo appena nato? Nasce e nasce in una situazione di incertezza. La prima cosa che fa un bimbetto appena nasce è piangere; piange disperato il suo dolore, piange disperato la sua precarietà. Essere gettati nella vita vuol dire essere gettati in una grande insicurezza. C’è qualcosa che lui dovrà ricevere, qualcosa che lo salverà. C’è una porta d’ingresso per la vita di un figlio di Dio. Il seme della parola. Deve arrivare la parola e con essa Cristo stesso che è la parola di Dio. Deve arrivare nel cuore di un bambino, forse quando cresce, attraverso le parole dei genitori una parola che è di Dio, una chiamata che è di Dio, l’amore che Dio gli porta, il sapersi amato da Dio questo non lo sappiamo noi, questo ce lo devono dire. Come potremmo credere se nessuno ce l’annuncia? Qual è la cosa che mi stura le orecchie, mi toglie dalla sordità? Quando qualcuno mi sa annunziare quanto Dio mi ami. Quando qualcuno mi sa annunziare che ho un salvatore, che c’è uno che per me ha dato la vita. Io di mio non lo so questo; siccome non sono atti i miei, non è una cosa che io faccio, ma è qualcosa che mi vien fatto io lo ricevo, ricevo da Dio il suo amore, io non so di me che sono importante. Io presento, intuisco che non devo esser nato per caso. Qualcuno mi deve dire, qualcuno mi deve forare le orecchie deve arrivare a me e dirmi che io sono amato, che io sono prezioso, che per me c’è uno che è morto e risorto. Questa è la parola che sfonda le resistenze di chi in realtà è ingabbiato dalla paura di non essere accettato, ingabbiato dalla paura di essere abbandonato. La paura dell’abbandono ce la portiamo tutti nel cuore, la paura di essere buttati via, nati e poi abbandonati. Questo è un terrore che abbiamo e siamo sordi e iniziamo e poi continuiamo a vivere cercando di catturare, di meritare, di conseguire qualcosa che ci faccia pensare che noi siamo accolti perché compiamo atti che partono da noi. Mi ami perché sono simpatico. Mi ami perché sono gradevole. Mi ami perché non sono da buttar via. Mi ami perché sono intelligente. Mi ami perché sono buonino. Mi ami perché sono in qualche maniera bello, gradevole, commestibile, digeribile, qualcosa. È da me che parte il mio diritto a vivere. Una parola grida Iddio Padre nel battesimo di Gesù ed è questa parola che deve forare l’orecchio di un adulto che viene battezzato e che deve forare l’orecchio di un bambino che deve crescere con qualcuno che gli grida questa parola di Dio, che è la verità del nostro battesimo: «questi è il mio figlio prediletto, che è il mio piacere». Questa parola deve arrivare a me, questo devo scoprire io, di essere figlio prediletto, che sono il piacere di Dio, che Dio si compiace in me. Questo io devo lasciare entrare nel mio io, questo è ciò che solo la parola di Dio mi può dare. Tutte le tecniche di questo mondo, tutte le belle parole che la gente può dire sono niente a confronto di questa parola che è la verità che l’uomo deve ricevere perché il suo orecchio si apra e scopra quanta bellezza, quanto amore, quanta provvidenza c’è in questo mondo.
Quindi questo gesto dell’èffeta simboleggia la necessità, l’importanza di far entrare dentro di noi, e nel caso specifico del bimbo, la parola di Dio che è diversa dalle parole degli uomini. Farla entrare dentro di noi e poi comunicarla.
La parola che io riceverò, io la dirò. Mentre tocchiamo la bocca e l’orecchio contemporaneamente del bimbo, in realtà nella formulazione diciamo: «il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di professare la tua fede a lode e gloria di Dio Padre». Ne conseguirà, dalla parola ricevuta, che «la bocca parlerà dalla pienezza del cuore» dice il Signore Gesù. In effetti questa funzione comunicativa rivela ciò che si ascolta. Questo è interessantissimo. Se ci pensiamo bene, c’è un ascolto un po’ più serio che noi possiamo fare degli altri quando ascoltiamo veramente la loro bocca di cosa parla; è anche un ascolto che noi dobbiamo fare di noi stessi. Controllare cosa esce veramente dalla nostra bocca. C’è gente che sostiene, manifesta una sua grande adesione alla fede cristiana e poi tutto il giorno parla male degli altri, e poi tutto il giorno si lamenta, e poi passa molto del suo tempo a metter malizia, a dire insulsaggini, a parlare di cose da quattro soldi. Ma di cosa parli? Parli di ciò che ascolti. Ognuno parla di ciò che veramente accoglie nel proprio cuore. Uno può stare lì che gli si strombazzano alle orecchie tutte le parole dei Vangeli, ma poi alla fine questo non entra, alla fine ha orecchi e non ode e dalla bocca emette il suono che ode veramente. C’è una parola terribile nel Vangelo di Giovanni che dice: «perché non potete ascoltare le mie parole perché volete ascoltare altre parole», le parole di un altro padre. Non volete ascoltare le parole del padre mio, non volete ascoltare me che sono la parola del Padre. Volete ascoltare altre cose. E qui entra un pochino quello che è un lavoro che dev’esser fatto prima del battesimo degli adulti e dopo, per il battesimo dei bambini, che è il lavoro del discernimento delle parole entrate nel cuore. Stiamo veramente parlando di cose importanti. L’uomo è tempio di una parola, l’uomo porta in sé parole, le parole che ascolta veramente. Ci sono le parole che ha lasciato entrare nel suo cuore; queste parole sono poi quelle che sono sulla sua bocca. Uno può dire con la bocca qualcosa, ma poi alla fine quello è un momento. La sua inerzia lo porterà in realtà a riparlare delle cose a cui veramente tiene. Ognuno parla veramente di ciò che ha a cuore, ciò che nel suo cuore è entrato, e nel cuore le cose entrano per l’orecchio in genere e per gli occhi, ma l’orecchio domina perché l’orecchio dà il senso, l’occhio dà solamente la forma. Per questo poi il segno nel momento del battesimo riguarda solamente l’orecchio e la bocca cioè entrata e uscita, perché è la principale delle entrate, l’entrata del senso. Quando entra la parola, entra la comunicazione vera e propria. Attraverso gli occhi anche entra comunicazione, ma questa comunicazione, in realtà di cuore, diventa parola, diventa suono. E’ il suono il mondo della rottura della solitudine o dell’assenza di comunicazione. Il silenzio e il suono. E allora che succede? Che noi abbiamo suoni dentro di noi, abbiamo memorie, abbiamo parole che abbiamo lasciato entrare. In realtà il combattimento battesimale del battezzato, perché ricordiamo che questo bimbo è stato unto sul torace per diventare un combattente, sarà su ciò che ascolta. Noi ascoltiamo tanto, abbiamo tante cose nelle orecchie, ma cosa entra nel cuore?
Il nostro nemico è qualcosa che abbiamo lasciato entrare nel cuore e che non è l’amore di Dio. Sono ferite che portiamo nell’intimo e sono rancori, e sono rabbie e sono cose non accettate e sono conti in sospeso e sono un esercito di cose che ci portano sulla via forviata, storta, tortuosa. Abbiamo vie interiori tortuose dove moventi disordinati ci portano a non accogliere questa cosa semplice. La menzogna per sua natura -perché per l’orecchio entrano le menzogne, entra la verità, ma anche le bugie- la menzogna per sua natura è tortuosa, infida, oscura, ambigua. La verità per sua natura è semplice, è lineare, è solare, è elementare. Ecco che la verità si rinviene con semplicità, mentre la menzogna è truccata da verità, sembra interessante, sembra intrigante però in realtà è una trappola.
Allora com’è possibile vivere nella verità, vivere nella vita battesimale, quella che ci porta a comunicare la bellezza, a comunicare cose belle?
Indubitabilmente ricordiamo che questo è un segno; è un segno che riguarda un po’ tutto. È fondamentale il fatto di far entrare dall’orecchio il bene, ed è un pochino più ampio l’atto di professare la fede perché dire non si dice solamente con la bocca. Dire si dice con tutto. Il nostro corpo ha un linguaggio, parla comunica. Dalla nostra sola, semplice postura noi già comunichiamo. Allora come fare attraverso i nostri atti, attraverso la nostra postura, attraverso le nostre parole, i nostri sguardi, le nostre lentezze, i nostri silenzi a dire il bene? Noi abbiamo bisogno di ascoltare il bene, noi abbiamo bisogno di cibarci, di ricevere il bene. Infatti è il sacerdote che tocca l’orecchio. E questa cosa se pensate è un po’ stramba; e infatti si vede in uno dei miracoli di Gesù questo fatto di infilare le dita nelle orecchie, che se volete è una cosa un po’ sgradevole, è un atto un poco plastico, poco estetico; eppure deve entrare nel mio orecchio il dito di Dio. Il sacerdote deve fare questo atto, il battezzante deve fare questo atto per simbolizzare qualche cosa. Nelle mie orecchie ci devono essere le dita di Dio perché io sappia dire le opere di Dio. Qualcuno me le deve raccontare le opere di Dio, il suo saper operare, le sue dita. Io devo sentirmi raccontare, qualcuno mi deve infilare dentro l’anima, per le orecchie, l’opera di Dio, il fatto che Dio è potente.
Tutto questo paradigma che abbiamo visto nel battesimo, lo possiamo incontrare nella beata vergine Maria con cui siamo contenti di terminare questa serie di incontri. La beata vergine Maria è colei che ascolta una parola e risponde a quella parola. Nell’annunciazione noi vediamo come a lei viene annunziato: «non temere Maria perché hai trovato grazia presso Dio»; e poi da questa apertura ecco che inizierà l’opera. Questa opera sarà annunziata, questo discorso dell’angelo sarà incluso in una frase: «nulla è impossibile a Dio». Ecco, è questo ciò che la beata vergine Maria dovrà vivere come l’inizio della sua straordinaria esperienza. Lei deve lasciare entrare, per le parole dell’angelo, la notizia dell’onnipotenza di Dio, la notizia della grazia che ha trovato presso Dio e l’attacco frontale alle sue paure. «Non temere Maria!». Questo dice l’angelo. Questo dicono sempre gli angeli, perché questo è il primo fuoco di sbarramento che bisogna superare perché l’opera di Dio inizi in noi avendo accolto il bene che ci viene annunziato. Noi dobbiamo disobbedire alla paura per accogliere questa parola; e infatti abbiamo parlato non per caso del fatto che il bambino ha avuto un’esperienza di paura nella nascita e la parola che riceverà e che nel battesimo viene prefigurata, che deve diventare la sua formazione cristiana, che deve diventare l’annunzio che riceve dalla comunità cristiana combatte quella paura e gli parla dell’opera di Dio. Ed ecco che la bocca di Maria si può aprire a dire questa meraviglia. Si aprirà innanzitutto dicendo «ecco qui, ma io non sono altro che una serva del Signore». Ecco lei è una che ha risolto il problema dell’identità. Tanti ce l’hanno questo problema: «chi sono io?», se lo chiedono tanto. Maria giovane, semplice l’ha già risolto. Ma è una serva del Signore, perché è la verità di tutti noi. Noi siamo servi, servi del Signore non siamo mica altro. Se concepiamo la nostra vita come padroni siamo fuori mira. Quando concepiamo la nostra vita come un servizio, come un servizio di Dio e della verità, ecco che la nostra vita sta incastrata bene, sta messa bene. «Si compie in me secondo la tua parola», eccolo. La tua parola si compie in me, io dico sì a questa parola. Questa è la preparazione e poi lei corre, corre, corre e deve andare da Elisabetta a cantare il Magnificat, a fare la sua professione di fede, a dire il bene che Dio opera in lei, a dire la potenza che Dio ha mostrato in lei.
Ecco, la vita battesimale è finalizzata a questa allegria, a questo gridare l’opera di Dio. Non è autoreferenziale, parla di quello che Dio può fare in noi, parla di quello che Dio sa fare: innalzare gli umili, abbassare i superbi, che è la storia, è tutta la storia della correzione che Dio esercita nei nostri confronti.
Possa tutto questo percorso del battesimo aiutarci ad arrivare al Magnificat di Maria, arrivare a professare la fede, arrivare ad avere nella bocca, nel nostro corpo, nei nostri atti un canto di lode a Dio per tutto il bene che ci ha fatto.
Don Fabio Rosini