8. La consegna del cero acceso
«Una volta, mentre camminavo in una buia notte
vidi un cieco che aveva in mano una torcia.
Gli chiesi: “Perché hai questa torcia?”
Rispose: “Finché ho la torcia in mano
la gente può vedermi e aiutarmi”»
(Rabbi José, Megillah 24 b)
Il rito della consegna del cero è un rito che sembra semplice, ma nasconde una sua elaborazione. Dopo che il neofita, il neo-battezzato è appunto rivestito con la veste candida che indica la sua nuova dignità, riceve un segno che è collegato al suo nome di neofita; colui che è appena battezzato si chiama con questo nome, neofita, da νεóϕŭτος che propriamente vuol dire «generato o germogliato di recente», composto di νέος «nuovo» e ϕύω «piantare, generare» o secondo un’altra interpretazione da νέος, nuovo, recente e φως φωτός luce che vuol dire «nuovamente illuminato», «arrivato alla luce», «che ha la luce nuova», ecco. E questo segno viene concretizzato da una consegna. Nel rito dei bambini è così che viene fatto secondo le regole liturgiche: il sacerdote, il celebrante, il battezzante presenta il cero pasquale dicendo: «ricevete la luce di Cristo» e il padre o il padrino o la madrina accendono alla fiamma del cero pasquale la candela del battezzato; e quindi, mentre loro stanno accendendo la candela e la tengono in mano, il celebrante dice: «a voi genitori e a voi padrini e madrine è affidato questo segno pasquale fiamma che sempre dovete alimentare». Abbiate cura che i vostri bambini, illuminati da Cristo, vivano sempre come figli della luce e perseverando nella fede vadano incontro al Signore che viene con tutti i santi nel regno dei cieli». Allora noi dobbiamo capire che qui le candele, in realtà sono due. Mentre normalmente si pensa solamente alla candela che viene consegnata, questa è, in realtà, una candela seconda. Prima c’è il cero. Il battezzante presenta, indica il cero pasquale; è quello il luogo originario; quindi da quel cero si accende una candela che è collegata al battezzato. E ci sono delle parole che richiamano i genitori e i padrini ad un ruolo, ad un compito che riguarda quella fiamma. Allora noi dobbiamo distinguere varie tematiche: 1°) questo cero pasquale che compare in questo momento del rito; 2°) il fatto che a questo cero si accenda la candela del battezzato indica una sorgente a cui attingere la fiamma; 3°) il tema della custodia di questa fiamma. Allora noi dobbiamo prima collegare un pò tutto questo segno al tema del cero pasquale e all’inizio della veglia pasquale che è un po’ la sorgente della liturgia battesimale, dove tutta la ritualità incipiente della liturgia delle liturgie, della veglia delle veglie è tutta centrata appunto su questo cero, che è il cero pasquale, che sta al centro di questo lucernario che è il rito iniziale della veglia pasquale. Quindi dobbiamo certamente capire perché questo segno è così importante e vedere un pochino il tema biblico soggiacente a questo tema della candela, del cero e anche capire questo tema della custodia della luce. Allora noi dobbiamo appunto vedere queste tre tematiche in questa riflessione che faremo sulla consegna del cero acceso.
Perché la scelta proprio di questo simbolo? Cosa significa il cero acceso e perché viene scelto proprio questo oggetto?
Dobbiamo vedere l’oggetto in sé, oggetto così antico, questo sistema di combustione rallentato che crea una luce e che è di una utilità fondamentale. In sé, l’uso proprio di quest’oggetto entra nella liturgia perché rappresenta, simbolicamente, meravigliosamente proprio la vita, la luce, qualcosa che squarcia le tenebre, che rompe il buio. In effetti ciò che viene presentato ai genitori e ai padrini è il cero pasquale. Il cero pasquale, come dicevamo prima, è oggetto della prima delle quattro parti della liturgia della veglia pasquale. Noi dobbiamo capire che la veglia pasquale è un po’ la sorgente di tanti elementi liturgici che ci sono nella nostra vita cristiana. Appunto, c’è un rito che deve essere fatto possibilmente sul sagrato della chiesa dove, a un fuoco nuovo, viene benedetto e accesso un cero che sarà introdotto nell’aula della Chiesa, nel buio in cui l’assemblea è. Questa luce illuminerà l’assemblea e, alla sua fiamma, vengono accese tutte le candeline di tutti i battezzati che sono presenti. Notare che non possono avere queste candele i non-battezzati. I battezzandi, che nella notte di Pasqua riceveranno il battesimo, se ce ne sono, riceveranno la luce, appunto, dopo il battesimo. Ed è molto simbolico e suggestivo questo rito. C’è questo cero acceso che viene benedetto e su cui si fa il canto del preconio. Il preconio pasquale, questo canto d’introduzione alla liturgia, presenta meravigliosamente tutta la teologia pasquale antica. Attraverso i simbolismi biblici, parlerà di questo cero che è simbolo di Cristo. L’assemblea avrà questo segno al suo centro; esso in un certo senso presiederà e aprirà la celebrazione del cuore della nostra vita liturgica la quale presenta la luce fondamentale della nostra fede cristiana, simboleggiando qualcosa che è più forte della tenebra.
Il cero porta in sé questo elemento: vince la tenebra e nello stesso tempo, per fare ciò, si consuma. Questo cero lentamente, lentamente muore mentre ci dà luce. È l’immagine di Cristo che morendo ci dà la vita ed è l’immagine di qualche cosa che vince il nulla delle tenebre, il nulla del caos, della confusione. È un’esperienza che noi forse abbiamo poco al livello della nostra sensibilità, ma è riportata, diciamo così, alla presenza della nostra esperienza allorquando, per esempio, se ne va la luce in casa e allora uno va a cercare nei cassetti le candele, uno va a cercare qualche cosa che abbia una sua autonomia per poterci dare la vittoria sulla tenebra. E allora uno riaccende la luce e scopre quant’è bella la luce di una candela.
Queste cose, se volete un po’ ridicole, che sperimentiamo occasionalmente ci riportano, però a un fatto: nella nostra vita c’è la tenebra, nella nostra vita c’è tanto di non capito, tanto di difficile da affrontare, nella nostra vita c’è uno sfondo di caos, uno sfondo di indeterminatezza, di realtà che non sappiamo capire fino in fondo. Dentro ognuno di noi c’è tanto di non illuminato. Abbiamo bisogno di luce. Ogni uomo sulla terra deve vivere attaccandosi, sfruttando una qualche luce. Molto spesso l’uomo ha tenuto per importante, per imprescindibile la luce della sua intelligenza. Soprattutto negli ultimi secoli l’intelligenza, la ragione, sono diventate la luce fondamentale dell’uomo. Beh, noi da tanti secoli sappiamo che la bellezza dell’intelligenza è però una bellezza limitata; si infrange miseramente contro molti quesiti della vita. Questo povero cero, semplice, elementare, che non è collegato a non si sa quale fonte di energia, ma è autonomo, di suo fa la sua opera di squarciare le tenebre, è un’immagine della fede. Infatti, essendo il battesimo sacramento della fede, sacramento che celebra, attraverso i suoi segni, la realtà della fede, abbastanza principalmente, proprio in questo segno della candela che riceve il battezzato, simboleggia questa luce nuova, la luce di una vita che va oltre il buio. Noi cerchiamo di camminare nella zona illuminata della nostra vita, noi cerchiamo di percorrere quelle parti della nostra vita che capiamo, che sappiamo dove ce la caviamo bene, dove sappiamo gestire, conosciamo quali sono le cose che possiamo incontrare, le cose che possiamo affrontare ed evitiamo accuratamente le zone non illuminate. Anche la nostra ragione fa così. La nostra ragione, in realtà, percorre le strade che le sono comode. Una cosa che dobbiamo pensare è che in fondo la ragione ci dà ragione. Noi la crediamo un ente veramente autonomo, completo e oggettivo. No. La ragione è addomesticabile. La ragione è un animale domestico che ci fa un po’ pensare, dire e andare per le strade che vogliamo cercare. La tenebra non la sappiamo affrontare. La tenebra ci fa paura. Ci fa paura ciò che non capiamo e resta lì. E allora restiamo nei sentieri certi di quello che non ci fa rischiare. Avere una candela, avere una luce che possa illuminare quegli angoli oscuri della nostra esistenza. Il battezzato che ha ricevuto la possibilità di camminare nella vita nuova di Cristo risorto ha una luce, riceve la luce, che è il cuore della veglia pasquale, che è al centro della liturgia pasquale, che è questo simbolo di Cristo che morendo dà la luce al mondo e consumandosi ci salva. È l’immagine di una tenebra che noi non sappiamo affrontare e di una soglia che, però possiamo varcare. Possiamo entrare per la porta delle cose di cui abbiamo paura. Dove sono queste cose? Quali sono queste tenebre che normalmente noi evitiamo? Sono i nostri rapporti interpersonali, sono dentro di noi, sono nella nostra storia personale, sono in una serie di cose che abbiamo paura di guardare perché non vediamo; cose da cui fuggiamo o su cui restiamo aggrovigliati, irrisolti, infelici. La luce della risurrezione di Cristo illumina, sgrana, apre qualche cosa che però dobbiamo capire un po’ meglio perché non è semplicemente capire qualche cosa che prima non capivamo. È un po’ di più.
Quindi la luce del cero simboleggia qualcosa che va oltre l’atto di capire, va oltre la ragione.
Noi dobbiamo proprio vedere la materialità del rito.
Il cero acceso è quello di Cristo, cioè è il cero pasquale. La candela non è quel cero; la candela è un’altra candela. Dobbiamo capire proprio l’atto di una candela che si accende. La candela non ha luce di suo; la deve prendere da un altro. È questo il simbolo che in un certo senso è liberante. Queste cose della mia vita che io non capisco non me le illumino da solo. Non perché io sono una candela ho luce. No! Se, tornando all’esempio di prima, se ne va la luce in casa e noi troviamo una candela in un cassetto a quel punto non abbiamo risolto il problema. Abbiamo bisogno di un fiammifero, avremo bisogno di qualcuno che l’accenda quella candela. Questa luce non si accende perché io ci arrivo, perché io mi metto, m’impegno e capisco il buio della vita dell’uomo. No! C’è un altro che è accesso e io mi accendo alla sua luce. Questa fiamma non si accende da sola. Si accende perché riceve da Dio la sua opera.
A questo punto dobbiamo un pochino svelare certe cose bibliche che sono intrinseche in questo discorso. Se noi andiamo a vedere qual è la prima parola di Dio nella Bibbia, apriamo il libro della Genesi, andiamo ai primi versetti e scopriamo che la prima cosa che Dio dice è nell’ebraico אוֺר יְהִי «sia la luce». È questa la prima parola di Dio: luce, luce sul mondo. E’ quella parola che poi Dio continua a dire. Entrando nella vita di ogni uomo porta la luce pensando alla tenebra come realtà del nulla, del caos, del disordine, di ciò che non è vivibile. C’è bisogno della luce. È interessante che la luce è un assoluto dell’universo. I fisici prendono la luce come misura delle distanze fra i corpi celesti. La luce entra nella famosa equazione di Einstein a riguardo dell’energia, E = mc2, dove l’energia è data dalla massa per la velocità della luce al quadrato. La velocità della luce è un assoluto, è una cosa oggettiva. E’ interessante come questo testo così arcaico sia andato proprio a cogliere un elemento centrale cosmico che i fisici devono usare tutt’oggi, con tutta l’evoluzione della nostra riflessione sulla realtà.
Bene, la luce è Dio stesso che entra nella vita di un uomo ed è un’opera di Dio. Questa candela che il battezzato riceve indica un’opera di Dio nelle cose che lui non capisce. Lui dovrà riaccendere questa candela mille volte, nei fatti della sua vita, credendo che Dio è capace di dire «sia la luce». Mille volte nella nostra vita noi crediamo che le cose sono perse, sono tenebra, sono morte. Ma come Cristo risorge dai morti, così dà a noi, attraverso questo simbolo della nostra candela -che si può riaccendere, che ha la sua propria potenza di resurrezione- la capacità di sperimentare che ciò che per noi è morto può diventare vita, ciò che per noi è tenebra può diventare luce. E proprio questo atto dei genitori di accendere la candela al cero pasquale rappresenta tutto l’atto del cristiano di andare mille volte, tutte le volte che ce ne sarà bisogno, ad attingere alla potenza di Dio per vivere le cose che non capisce della sua vita.
Perché dicevamo che è più della ragione? Perché questo si spiega sulla potenza di Dio. È Dio che spiega come una tragedia può diventare una grazia. È Dio che spiega come il caos di un dolore, di un’ingiustizia subìta possono diventare strumenti di amore. È solamente Dio che ha potuto trasformare un’ingiustizia inaccettabile, come la crocifissione di un innocente nella salvezza dell’uomo. Questa è la luce! La luce che si accende nella tenebra, la luce che indica qualche cosa che viene da Dio, che è potenza di Dio. Noi annunziamo attraverso questo segno della candela accesa che la luce si può accendere, che tante cose che l’uomo non capisce, che tante cose che l’uomo non riesce a vivere, che schiva le può affrontare non perché ha forza sua propria di affrontare quella tenebra, ma perché c’è una luce a cui accendere la propria candela; e quindi dobbiamo capire perché questo segno, che il bambino non comprende, perché in questo momento lui subisce tutta questa realtà, lo devono fare i genitori. Ecco, arriviamo così alla terza tematica, importantissima: la tematica della custodia di questa luce.
Anche quest’ultimo passaggio che vede protagonisti i genitori che devono accendere la candela e devono custodire la luce ha un significato simbolico.
Questo significato è importante perché non ci sarà luce della fede nella vita di un bambino se non c’è atto intenzionale da parte dei genitori di passare a lui, di consegnare a questo bimbo o a questa bimba la bellezza della fede. Il sacerdote presenta il cero, ma loro fanno l’atto di accendere la candela. E fatto questo atto il sacerdote dice: «e a voi genitori e a voi padrini e madrine è affidato questo segno pasquale» – ecco che noi ricordiamo tutto l’ambito di quel rito pasquale di illuminare la notte, d’iniziare la veglia dal canto del preconio e tutti quei simboli a cui abbiamo accennato poco fa – «a voi genitori e padrini è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare». E qui c’è il tema di una fiamma che deve restare accesa, che dev’essere ri-accesa, che dev’essere difesa.
Una delle caratteristiche della fiamma è che si può spegnere, non è un dato stabile come una sedia che la metti là e là resta, immobile. No! Una fiamma l’accendi, eh, bisogna vedere se sarà accesa fra un po’. Bisogna alimentarla. La combustione implica il consumo di un combustibile. Infatti il rito continua e il sacerdote dice: «abbiate cura che il vostro bambino, illuminato da Cristo, viva sempre come figlio della luce» e cioè dalla luce deriva un tipo di vita. Dal credere alla luce e dall’avere questa luce deriva uno stile che dà proprio una natura, una natura da figli della luce; «e perseverando nella fede vadano incontro al Signore che viene con tutti i santi nel Regno dei cieli». Cosa significa tutto questo? Si indica un passaggio in questo testo, il passaggio dai genitori, che devono avere una cura, al figlio, che deve imparare questa vita; e loro devono curare che lui diventi uno capace di andare incontro al Signore che viene. Quest’ultima annotazione, questa formulazione ci riporta alla realtà di una parabola, che anticamente viene collegata a questo rito: la parabola delle dieci vergini, che troviamo all’inizio del capitolo venticinquesimo del Vangelo di Matteo. La storia di queste dieci ragazze, dieci giovani che devono far parte di un corteo nuziale e devono avere le loro lucerne per svolgere il loro ruolo di corteo nuziale; aspettano che lo sposo arrivi perché inizino le nozze. Sono un elemento fondamentale del rito delle nozze perché devono essere il corteo che fa iniziare la festa. Cinque hanno preparato le loro lampade portando con loro il combustibile. Le altre cinque hanno solamente la lampada, ma non il combustibile. Questa storia, che dovremmo approfondire a riguardo di questo rito, fa riferimento alla necessità di avere una lampada che possa essere accesa, di avere combustibile, di avere non una candela che è un mozzicone, che è finita o che in un attimo finirà, perché ciò vuol dire che non si dà importanza a chi deve venire. Vuol dire che uno è disposto ad accendere poca luce. No, richiede una cura. Richiede l’alimentazione di tutta quella realtà che dovrà essere bruciata. Nel caso della parabola parliamo dell’olio. L’olio, che diventa nel caso della candela la cera, che dev’essere lentamente consumata e che viene bruciata piano piano, dev’essere abbondante. Questa è la cura dei genitori: che questa candela, che questa lampada, che questa luce si possa accendere.
Nella parabola delle dieci vergini tutto ciò è collegato all’attesa per l’arrivo dello sposo. Le cinque vergini stolte, le cinque giovani che non sono pronte, sono persone che non hanno speso per avere da parte dell’olio per le loro lampade. Le ragazze sagge sono quelle che, in piccoli vasi, hanno portato con sé molto olio, olio pronto per ogni evenienza. Che cos’è quest’olio, questo combustibile che è collegato alla candela, ripeto, con la cera e alle lampade con l’olio? È tutta quella realtà di quei beni che possono servire, che possono essere utili per riaccendere la fede. La fede di un bambino non viene accesa così, d’ufficio, perché c’è scritto il nome negli elenchi parrocchiali e nel registro dei battesimi, perché c’è il nome registrato appunto nell’atto del battesimo. No. La vita di fede di un bambino cresce dal fatto che uno dà combustibile a questa candela, dà combustibile attraverso atti. Devono avere cura questi genitori che questo bambino sappia che cos’è la preghiera, sappia che cos’è la carità, sappia che cos’è la speranza. Deve crescere sapendo quant’è bella la parola di Dio, sapendo quanto è meraviglioso avere la compagnia dei santi, l’intercessione della Beata Vergine Maria e una quantità di cose che sono olio per la nostra candela. Una candela va tenuta accesa. Se uno la vuole tenere accesa la copre con una mano perché se la espone al vento si spegne. Questo segno, che può sembrare ridicolo, indica però che la fede di un bambino va protetta, va custodita. Bisogna dare olio, bisogna dare combustibile a questa candela, dev’essere pronta perché lo sposo viene. Non solo verrà alla fine dei tempi, ma verrà tante volte, viene, ci visita. Tanti fatti della nostra vita ci chiedono di avere la lucerna accesa. In fondo queste ragazze stolte non hanno la lucerna accesa -eppure una lucerna ce l’avevano- perché non hanno speso denaro, non hanno speso tempo, hanno sottovalutato l’importanza della funzione di quella lucerna. Dipende moltissimo dall’importanza che i genitori danno alla luce di questa candela il fatto che questo bimbo cresca avendo imparato a riaccendere mille volte la propria candela al cero pasquale, avendo imparato a riattingere, mille volte, all’olio, al combustibile, all’alimento di ciò che la nostra fede ci fornisce come strumento per vivere nella luce e non nella tenebra. Mille volte dovremo insegnare ai bambini che c’è l’amore di Dio, che c’è la grazia della Chiesa, che c’è la realtà della Parola che ci può illuminare, che c’è la preghiera che ci può sostenere, la carità che ci rallegra, il bene che si può fare, la verità che si può alimentare, tanti strumenti che sono tutti lì, in quel combustibile che viene usato dalla candela. La consegna del cero rappresenta tutta la vita della fede, nel suo atto di essere riacceso costantemente al cero pasquale, nel suo atto di aver bisogno di essere pieno di ricchezza, di combustibile, di olio, di cera.
Don Fabio Rosini