2. Il segno della croce sulla fronte
Nel rito del battesimo dei bambini, dopo avere imposto il nome, c’è una frase che pronuncia il celebrante, il presidente dell’assemblea che dice: «Caro bambino -e ne cita il nome- con grande gioia la nostra comunità ti accoglie. In suo nome io ti segno con il segno della croce. E dopo di me anche voi genitori e padrini farete sul vostro bimbo il segno di Cristo Salvatore». Allora qui dobbiamo notare alcune cose di questo testo liturgico, di questa frase. Innanzitutto, che l’accoglienza si traduce in questo segno, segno che il sacerdote farà sulla fronte: il segno della croce. E inviterà i genitori a ripetere l’atto. Per cui noi dobbiamo prima vedere un pochino o, meglio, sostanzialmente il segno e il suo significato e poi capire anche, in coda di questa riflessione, come mai non basta che il sacerdote faccia questo segno, ma che lo debbano fare anche i genitori e i padrini, e questo ne sottolinea il ruolo. La prima cosa che dobbiamo chiederci è: cosa è questo segno, cosa rappresenta? La sua radice è vetero-testamentaria. C’è un testo del profeta Ezechiele, al capitolo 9, che parla di questo segno che dev’essere apposto sulla fronte di tutti gli eletti, che saranno segnati per scampare a uno sterminio. Il discorso di un segno che salva da uno sterminio è arcaico e risale addirittura alla parte più gloriosa della storia del popolo di Israele: l’uscita dalla schiavitù di Egitto, con l’imposizione del segno sull’architrave, sugli stipiti delle porte, che fa passare oltre l’angelo sterminatore nella notte della morte dei primogeniti. Allora c’è un segno che salva da qualcosa. Questa sarebbe la tradizione. Ancora più arcaicamente, pur se con dei contatti molto più flebili, abbiamo questo segno sulla fronte di Caino. L’uomo che dopo aver ucciso chiede perdono -la frase letterale che pronuncia Caino è: «troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono» – e allora Dio lo segna con il suo segno sulla fronte e Caino sarà risparmiato dalla morte da questo segno, perché chiunque lo vedrà ne riconoscerà la proprietà. Lui è proprietà di Dio e non dev’essere toccato.
Allora, da una parte, come questo segno diventa il segno della croce? Nell’Antico Testamento è semplicemente il segno sulla fronte di Caino; un segno che continua ad essere sigillo di salvezza, anche se non è più sulla fronte nel caso della notte dell’uscita dall’Egitto; è un segno che diventa il tau, ultima lettera dell’alfabeto ebraico, sulla fronte degli eletti. Vediamo un pochino.
Innanzitutto, la fronte rappresenta la parte più spaziosa del nostro viso, la parte più esposta, la parte più libera, se vogliamo, più vasta. È abbastanza tipico, per esempio, dire in italiano: «ma che ce l’ho scritto in fronte oggi questo o quest’altro, non so!?», per dire qualche cosa che mostra, che manda un messaggio della nostra realtà. Il nostro viso, questa parte nuda, esposta sempre alla visione degli altri, che è inabitato da una quantità di muscoli incredibile e che ci dà la nostra espressività, manda dei messaggi; e la fronte diventa un po’ la lavagna che simboleggia qualche cosa che sta dentro il nostro cuore, dentro il nostro cervello e che si comunica agli altri. In effetti l’espressività del viso, l’aggrottare la fronte, le sopracciglia e quant’altro sono parte di un’espressività ricchissima che manifesta questo essere relazionale dell’uomo. Io sono chi sono per gli altri; io sono un po’ quello che c’ho scritto in fronte. E se noi vediamo un pochino l’origine della parola “ipocrita” essa viene dall’antico nome degli attori, in greco, υποκριτής, che vuol dire “colui che porta una maschera”. Infatti, noi intendiamo con questo il mettere un diaframma tra noi e gli altri e il non avere una comunicazione libera, autentica.
Allora, avere una fronte vuol dire avere una faccia.
Avere una fronte, che è la parte spaziosa del viso, segnata vuol dire avere un aspetto, che il nostro aspetto viene segnato da qualche cosa.
Il segno sulla fronte è già presente nell’Antico Testamento: dal segno sulla fronte di Caino al segno sulla fronte degli eletti, il segno del tau. Ma cosa significa avere questo segno sulla fronte?
Ecco, mentre nel caso di Caino non abbiamo idea di quale sia il segno di Dio -anche se sospettiamo che sia riferibile al suo nome, in qualche maniera, ma siamo a un livello talmente arcaico che tanti dati ci mancano- invece nel caso di Ezechiele 9, il testo è molto chiaro. Ovverosia: segnare un tau. Perché un tau? Noi dobbiamo fare un piccolo distinguo un po’ storico e un po’ grafico. Di fatto la lingua ebraica noi la vediamo rappresentata con dei caratteri, i bei caratteri del testo masoretico, appunto il testo ebraico, che hanno spesso una forma quadrata e nello stesso tempo hanno dei loro riccioli, dei loro ghirigori, è una forma che però non corrisponde assolutamente all’ebraico antico. Dobbiamo ricordare che il popolo ebraico fu mandato in esilio e questo esilio segnò radicalmente la storia ebraica. Prima dell’esilio il popolo parlava ebraico e solamente la classe più ricca, più abbiente, più intellettuale parlava aramaico che era alla lingua franca dell’epoca, un po’ come il nostro inglese di oggi. Quando si torna dall’esilio il popolo ormai parla aramaico, mentre solo la classe nobile e intellettuale ricorda l’ebraico antico. L’ebraico aveva la sua grafia, il suo alfabeto, molto vicino all’alfabeto fenicio, mentre l’aramaico aveva queste lettere che in realtà noi chiamiamo l’ebraico di oggi. L’ebraico moderno in realtà è l’aramaico, in quanto a grafia. Allora l’alfabeto ebraico aveva come ultima lettera la T, il tau. La forma del tau aramaico è una forma del tutto diversa dalla T dell’ebraico antico, dal tau antico, il quale è molto più vicino al greco e poi anche al latino. La nostra T è in effetti una croce, il tau in greco e in fenicio e in tutte queste lingue, e in tutti gli alfabeti un pochino di questa classe -anche se molto diverse fra di loro come classi- insomma, in tutto questo bacino mediterraneo si aveva il segno di due linee che si incrociavano. La croce, il tau era l’antico segno dell’ebraico. Allora quando Ezechiele dice di segnare un tau vuol dire: a) che viene segnata obiettivamente una croce; b) che questa lettera rappresenta la fine dell’alfabeto.
E perché questo viene collegato a un sigillo di Dio? Noi abbiamo nell’Apocalisse questa definizione di Gesù come l’Alfa e l’Omega ovverosia la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, per intendere il principio e la fine; ed è esplicitamente detto. Nell’ebraismo, che ha una grande tendenza alla finalizzazione nella mentalità, che ha molto il senso pragmatico, c’è un interesse molto grande per la fine delle cose, per la tendenza verso il futuro. Non abbiamo qui il tempo di spiegare questa cosa qui, ma è abbastanza connaturale pensare che il termine delle cose, il fine e la fine delle cose siano collegate al creatore, al Dio di Israele. Allora il nome di Dio è l’ultima lettera. Lui è l’ultimo. Non nel senso di graduatoria, ma nel senso della cosa più grande, il finale, la cosa importante, ciò in ordine a cui tutto esiste. Ed ecco che il segno dell’ultima lettera dell’alfabeto diventa un segno simbolico di Dio, dell’ultimo, della cosa più importante, della cosa verso cui tutto tende. E allora: il senso di questo tau è il senso del nome di Dio rappresentato attraverso questo segno.
Il tau quindi come segno del nome di Dio. Ma il segnare la fronte di un bimbo durante il battesimo cosa indica?
Dichiaratamente nella matrice della storia di Genesi 4 in Caino, ma esplicitamente nel caso di Ezechiele 9 il messaggio è proprietà. Cioè, ciò che viene dato per mezzo di questo gesto è un segno, è un marchio distintivo di possesso. La persona segnata sulla fronte vuol dire che appartiene; è il marchio, è il sigillo, il carattere che attesta che stiamo parlando di una persona che porta la protezione di Dio perché è di Dio. Infatti, noi vediamo che Caino non sarà toccato perché lui ha una relazione forte con Dio, porta un segno sulla fronte -ripetiamo che non sappiamo che segno sia-, ma questo segno ha un parallelismo patente con Ezechiele 9, e questi eletti sono salvati dal disastro perché appartengono a Dio.
Allora, nel battesimo il primo significato di questa imposizione della croce sulla fronte della creatura che viene battezzata, indica un possesso; ovverosia entrando nell’assemblea cristiana il celebrante dice: «carissimo bambino con grande gioia la nostra comunità ti accoglie e in suo nome -cioè, in nome dell’assemblea, in nome della comunità cristiana- io ti segno con il segno che ci caratterizza tutti, il segno di un’appartenenza. Passi dall’essere una persona che ha una sua identità, che andrà pian piano crescendo, a essere qualcuno destinato a essere di Dio». Questo è un primo livello: essere di Dio. E già qui abbiamo un significato molto bello. Essere di chi? Appartenere a chi? Avere la propria vita che è orientata all’essere di Dio e solamente di lui. Ogni persona, in realtà, su questo spazio che è la fronte, su questo viso che ha la sua espressività porta, molto spesso, il segno del proprio possesso. Uno porta in faccia scritto se si è legato a qualcosa che è più piccolo di lui, che non merita la sua attenzione o che non gli sta dando felicità o che non lo sta portando per la strada della pienezza; allo stesso modo uno porta scritto davanti a sé, nella sua interfaccia vera e propria con il prossimo, il segno di una gioia, di un’allegria, di una pienezza. C’è un viso radioso: c’è Cristo il cui viso si trasfigura nel momento della rivelazione di ciò che accadrà in Gerusalemme, nell’esperienza della trasfigurazione appunto fatta dai tre discepoli più vicini a lui. C’è un viso che cambia nelle persone quando succede qualcosa d’importante. È portare il segno che indica una relazione intima di possesso con Dio. “Essere di Dio” è una formula che torna nell’Antico Testamento con una formula dell’alleanza: «voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio». Voi sarete miei, io sarò vostro. Possedersi in un dolce possesso che c’è fra il popolo e il suo Dio, così come uno sposo possiede la sposa e la sposa possiede lo sposo, nel senso più bello, più amorevole del termine. Ecco, questa è un’elezione. Sono gli eletti, gli scelti, coloro che sono stati guardati da Dio con una predilezione, che devono indicare ad ogni uomo, attraverso la loro vita, una predilezione che in realtà è destinata ad ogni persona. Ogni persona è chiamata, e ciò è possibile perché il battesimo è qualcosa che si può sempre prendere, non è precluso a qualcuno, non è qualcosa che se uno lo chiede non lo può avere, a meno che non lo rifiuti lui, limpidamente, non lo rinneghi. Ecco che il battesimo è un’offerta che Dio fa’ ad ogni uomo; ogni uomo è chiamato ad essere segnato con un possesso per sfuggire ad altri possessi. Quante volte noi nella vita ci sentiamo espropriati. Ci chiediamo: «ma cosa sto facendo? Ma dove sto andando? Che cos’è questo che sto vivendo? Ma chi mi ha portato a vivere questa o quest’altra situazione?» Vivere nel possesso di un Padre tenero e amorevole vuol dire sfuggire al possesso di altri.
In effetti nel libro dell’Apocalisse si segnala un altro tipo di sigillo sulla fronte, un sigillo che è sulla fronte e sul braccio destro, il sigillo della bestia: il famoso 666 che è il codice di un nome; nella fattispecie, facilmente, noi lo riconduciamo al nome dell’angoscioso imperatore Nerone. C’era tutto il sistema del calcolare il numero del nome, perché le lettere, sia in greco che in ebraico corrispondevano anche ai numeri. Bastava fare la somma delle lettere, ed ecco che, facendo la somma di “Nerone Cesare” abbiamo 666. Avere l’impero, cioè questo mondo sulla fronte e sulle braccia, vuol dire non riuscire a fare niente che prescinde dai poteri di questo mondo e vuol dire avere -e qui passiamo al secondo senso di questo segno- una mentalità segnata dalle leggi di questo mondo, dai poteri di questo mondo, poteri che sono sempre e comunque umani, che non ci possono mai possedere, che devono comunque e sempre restare al nostro servizio, non nostri padroni.
Fin qui abbiamo visto il primo significato dell’avere il segno della croce sulla fronte che indica, come abbiamo appena detto, un’appartenenza a Dio. Invece per quanto riguarda il secondo significato al quale accennavamo vediamo subito di che cosa si tratta.
Ecco, la fronte è, bene o male, la parte della nostra testa più vicina al cervello; la fronte viene chiamata in aramaico “la casa degli occhi”. C’è qualcosa che brilla nella radice della parola che indica la fronte, qualcosa che si emana. Qual è la sua sorgente? Nel greco, il μέτωπον è ciò che sta “sopra gli occhi”, la parte sopra gli occhi. Certamente c’è l’aspetto, ma c’è anche tutto il discorso di questa casa degli occhi, ciò che è sopra gli occhi. Cosa c’è sopra gli occhi, cosa c’è dietro la vista, ciò che è nascosto dietro la vista? Il nostro modo di guardare, di sentire, di annusare, di toccare, di percepire, di gustare, …cioè c’è dietro tutto quel mondo che è la nostra mentalità, il nostro io nascosto, ciò che è il nostro modo di vedere le cose, il nostro modo di pensare, il pensiero. Ecco che cosa viene toccato con la fronte, e qui capiamo perché. Non basta un segno fatto dal sacerdote sulla fronte del bambino, ma i genitori dovranno segnare la croce sulla fronte del bambino perché noi dobbiamo adesso scoprire un altro aspetto. Mentre iniziamo a capire che viene segnata o viene indicata una strada del pensiero, cioè viene collegato a questo segno un modo di pensare, un modo di pensare che dev’essere segnato dai genitori e dai padrini -l’antico nome dei padrini era “garanti”, coloro che dinanzi al vescovo dovevano garantire della preparazione del candidato al battesimo- da parte dei genitori diventa il loro prendere il ruolo che hanno appena accettato. Poco prima è stato loro chiesto: «che cosa chiedete alla Chiesa santa di Dio?» Ed essi hanno risposto: «il battesimo». Ecco, «chiedendo il battesimo per il vostro figlio, dice il rituale, voi vi impegnate ad educarlo nella fede perché nell’osservanza dei comandamenti impari ad amare Dio e il prossimo come Cristo ci ha insegnato. Siete consapevoli di questa responsabilità?» Rispondono: «sì» e così rispondono anche i padrini che s’impegnano nell’aiutare i genitori. E in questo segno della croce sulla fronte inizia il loro inscrivere questa notizia nella mentalità, nell’io profondo, nella matrice dei pensieri, degli sguardi, del modo di ascoltare e quant’altro del bambino o della bambina.
Ovverosia, dovranno insegnare loro che cosa? Questo tau, segno che rappresenta tutto ciò che loro dovranno insegnare a questo bimbo, a questa creatura che dovrà diventare cristiana, in realtà qui logicamente acquista tutto un altro significato: dalla semplice indicazione del nome di Dio noi tutto a un tratto ci troviamo di fronte al simbolo essenziale della fede cristiana. La croce, questi due pali incrociati su cui Cristo è stato crocifisso, rappresenta l’evento centrale della nostra salvezza, della storia della nostra redenzione. Cristo è stato crocifisso. Apposto su una croce è morto di morte violenta e ignominiosa ed è risorto passando per questa strada orribile, stretta, dolorosa, per questa tortura e ne è uscito vivo. Questo è un segno che ricorda il centro della nostra fede, il mistero pasquale del nostro Signore Gesù Cristo; tutto riassunto in questi due segni trasversali. Questo dev’essere segnato sulla fronte, per indicare nella visione, nel modo di stare davanti alla vita, nel modo di vivere del bambino la croce del Signore nostro Gesù Cristo. E questo ha due funzioni: 1°) mettere nella memoria di una persona l’amore di Dio; mettere nella coscienza di una persona il ricordo costante di quest’uomo crocifisso e risorto, di quest’uomo che ci ha amato fino alla croce. Fino alla croce mi ama Dio, fino a morire per me, così io sono amato. Quante volte tanti dei nostri problemi derivano dal fatto che cerchiamo di trovare chi siamo e cerchiamo di darci, attraverso le nostre opere, un’identità. Ecco che questa croce segnata nel cuore, nella mentalità di una persona gli indica chi è attraverso le opere di un altro. Non solo ciò che io faccio mi dice ciò che io sono -e anzi, tante volte ciò che io faccio è molto condizionato-, ma qualcuno ha fatto per me qualcosa che mi dice chi sono, chi sono io per lui. Chi sono io per il Signore Gesù Cristo? Io sono segnato col segno della croce sulla fronte (che poi si espanderà liturgicamente nel grande segno della croce, ma questo verrà più tardi storicamente, ma il primo segno è questo sulla fronte), per ricordare, per avere in mente sempre, nella mia memoria, che io per Gesù Cristo valgo più della sua propria vita. Ciò che celebrerò in tutti i sacramenti, preclaramente nell’eucaristia, è che Cristo è per me; e nella croce e nel vincere la croce ha affermato che il suo assumere i miei peccati è più forte dei miei peccati, ha segnato nella storia di amarmi fino a lasciarmi il diritto di sbagliare, di amarmi fino ad essere fedele a me pure il giorno in cui io sono violento contro di lui, in cui gli sputo in faccia, in cui lo flagello, in cui lo inchiodo, lo ammazzo e lo butto dentro un sepolcro. Ecco, da lì Cristo riparte, risorge e mi viene incontro per amarmi. Io ricordo la croce come una persona che ricordi qualche cosa di straordinario fatto da qualcun altro per lui, e ne porti un oggetto, un segno o un qualche modo di ricordare qualcosa di meraviglioso ricevuto da qualcun altro. Noi ricordiamo la cosa più straordinaria della storia, l’amore più grande che si è mai dato, l’amore al nemico, l’amore al diverso, che si è manifestato in Cristo e che è amore per noi. Questo amore che ci toglie il dubbio di chi siamo, di chi non siamo, di chi dobbiamo essere, di che cosa dobbiamo raggiungere, di cosa non dobbiamo fare. Punto di partenza per la nostra allegria, base per non dimenticare mai è che comunque e sempre, al di là di tutto, siamo amati e siamo guardati con benevolenza.
Ma questo ci porta a un secondo livello, a un secondo e ancor più importante luogo: quando questa croce la assimiliamo, non solo diventa memoria e appartenenza a un Dio che ci ha amati, ma diventa mentalità ovverosia sapienza, la cosiddetta sapienza della croce. Io devo, come maestro nella fede, in quanto sacerdote, in quanto presbitero della Chiesa di Dio reiterare questo segno molte volte e i genitori devono farlo con i loro figli: crescerli insegnando loro la sapienza della croce. Che cos’è la sapienza della croce? Un segno di morte che diventa segno di vita. Un segno di sconfitta che diventa segno di vittoria. Stiamo parlando della notizia e del modo di leggere la realtà più straordinaria: il non avere più paura della croce. Quando si presenta nella vita sapere che quello è il momento della fede, non è il momento della sconfitta, è il momento della nuova creazione, è il momento in cui Dio rifà le cose da capo. Non aver paura della croce. Radicalmente questo è il motivo per cui il nostro amore è da quattro soldi, il motivo per cui amiamo poco e male, perché abbiamo paura della croce. La fede inscrive in noi un sapere: che niente ci può separare dall’amore di Dio, né morte, né vita, né altezza, né profondità, né potenza, né creatura alcuna può separarci dall’amore manifestato in Cristo crocifisso e risorto per noi. Io ho appartenenza e vita cristiana quando inizio a vivere disobbedendo alla mia paura alla croce. Una mentalità che crede alla vittoria di Cristo sulla croce è una mentalità che può aprirsi ad atti straordinari, ad atti di vita eterna, atti in cui io, disobbedendo alla paura del morire, del nulla posso fare atti che vanno oltre il nulla, quel nulla che c’è fra me e le cose, quel nulla che c’è fra me e gli altri, quel nulla che c’è fra me e Dio; per cui fidarmi di lui mi sembra che mi faccia perdere me stesso, per cui perdonare una persona che abbia fatto qualcosa di male contro di me mi sembra che mi dia il nulla, mi dia l’azzeramento. E invece, no. Sapere della croce: questo è il segno che indica una postura davanti alla vita a fronte alta; sapendo della croce vivere da uomini liberi, non avendo più paura di quello che ci minaccia.
Don Fabio Rosini