Carissimi,
sicuramente “le poche parole” è ciò che caratterizza gli uomini anche nel nostro tempo. Gli uomini sono di poche parole come Giuseppe nei Vangeli. Parlano così poco che sembrano essere completamente assenti. Il loro silenzio è assordante e imbarazzante. Anche se non dobbiamo esagerare. C’è una comunicazione di servizio e di intrattenimento. Si parla del più e del meno. Si parla di motori, di calcio, di lavoro e di guadagni. Ma pur usando molte più parole di quante ne usasse Giuseppe parlano molto meno dello sposo di Maria. Dicono poco.
L’uomo del nostro tempo ha voltato le spalle con molto facilità alla paternità. Spessissimo la esercita come un’arte banale e poco incisiva. Si convince molto facilmente che soddisfare i bisogni primari assolva e comprenda tutta la sua funzione. È assente dalle chat della scuola, occupate quasi esclusivamente dalle mamme. Si vede poco nel dibattito scolastico ed è invisibile nella comunità cristiana. Forse dovrebbe farsi qualche domanda sul ruolo e la missione che gli competono.
C’è una fragilità dilagante che supera i livelli soliti che abbiamo sempre conosciuto. Il suicidio è diventato la prima causa di morte tra i giovani che vanno dai 16 ai 29 anni. I figli rimandano spaventosamente il tempo delle scelte e molte volte si accontentano di riempire il tempo come se bastasse a riempire la vita. I figli hanno ormai in riserva la volontà di esercitare loro stessi la paternità. C’è un andazzo preoccupante e generalizzato di una moltitudine di persone che ha poco a cuore la “cura” di ciò che la circonda e viene facile il sospetto che questo stile lo abbiamo assunto e assorbito da qualche parte. Uno stile che non vede gli altri, né vicini e nemmeno lontani, e che obbedisce soltanto all’imperativo del “mi piace” o “non mi piace”. I figli forse si trovano davanti a uomini di successo, ma manca loro di vedere uomini che si prendono cura. Persone riuscitissime, con suv, conto in banca e muscoli in tiro, ma poco attenti alla casa che abitano.
Giuseppe custodisce un segreto. La sua volontà si confronta sempre con quella di un altro Padre il quale non lo lascia solo nelle scelte della vita. Questo Padre del cielo lo salva dalla tentazione e dalla presunzione di credersi indispensabile per le persone che gli sono affidate; lo salva dal delirio di presentarsi come l’unica salvezza per chi gli sta accanto; di sentirsi l’unico sostegno che tiene in vita quelli con cui abita.
Giuseppe non parla, ma non perché non ha nulla da dire. Nella sua vita e nel suo cuore, nei suoi sogni e nella notte risuona una Parola che lo sostiene e illumina la strada.
Giuseppe non accumula beni, ma riconosce e si prende cura dei beni che gli sono stati affidati e che nella libertà ha abbracciato. Non conosciamo proprietà o ricchezze di quest’uomo, ma sappiamo soltanto del suo lavoro che gli serviva a portare il pane a casa e a condividerlo con coloro che valevano più di ogni cosa.
Esercitare la paternità è un’arte difficile. Una sfida. Ma non impossibile. Nel vivere da figli di Dio permettiamo al Padre di tutti di mostrarci come si fa e cominceremo a portare addosso il profumo di una provvidenza che ci consola e ci sprona a prenderci cura della casa sulla quale siamo posti. Tantissimi auguri a tutti i papà.
Il Signore vi benedica
p. Emanuele, p. Francesco e p. Amedeo