ognuno nella vita decide se vuole imparare o no. Si può vivere distratti, senza accorgersi del posto che occupiamo e senza incontrare nessuno pur essendo circondati di persone. E questo può durare anche per molto tempo. Pur essendo nel mondo si può vivere tutta la vita imprigionati nel nostro mondo. Poi si può vivere come maestri facendo diventare scienza esatta ogni nostra esperienza, si può camminare con l’agghiacciante sicurezza di chi sa tutto e non ha bisogno di ulteriori informazioni. Con la ridicola presunzione di chi sa tutto e non ha bisogno di confronti. Con l’arroganza di chi ha tutto da dare e nulla da accogliere e da apprendere. Oppure si può camminare umili. Curiosi. Con gli occhi mai sazi. Gonfi sempre di meraviglia, di stupore. Affamati di sorprese. Con poche certezze: la vita è sempre nuova, gli occhi mai adeguati e la mente e il cuore mai pronti.
Ognuno decide se vuole imparare o no e sceglie pure il suo maestro. Anche nella scelta del maestro si rivela la nostra umiltà se è vera o fasulla.
Ormai ci accingiamo a ricominciare un nuovo anno liturgico. Per noi cristiani, soprattutto per chi è praticante, questo è il nostro maestro. È l’anno liturgico la nostra guida, la nostra bussola, la nostra stella polare. Ascoltiamo e riascoltiamo sempre, ripetutamente i testi delle scritture aspettando da quelle parole una luce sulla vita e lasciando che piano piano ci leggano il cuore, lo muovano, lo sveglino, lo orientino su strade sensate e ci salvino da giri inutili e che non portano a niente.
L’anno liturgico è anche un modo per fissare l’attenzione al cuore dell’annuncio cristiano, al centro della fede che professiamo. Tutto il tempo ha una preparazione e una celebrazione poderosa alla Pasqua. Tutto gira intorno a questa solennità che è e rimane il sale di tutto il tempo e di ogni anno. Gesù che scende nella nostra condizione e si spinge sempre più giù, fino agli inferi, per tirarci fuori da una condizione nella quale eravamo obbligati se qualcuno non ci avesse offerto la sua mano tenera e forte. Tutte le domeniche sono la pasqua settimanale in cui facciamo memoria della inaudita misericordia di Dio insieme ai fratelli e alle sorelle. Infatti celebrare la domenica non è ripetere un rito o fare memoria ma incontrare i fratelli e le sorelle. Senza questo incontro la domenica resta opaca e grigia. L’altro sole dell’anno liturgico è la solennità del natale. Questa festa non ha la stessa preparazione e celebrazione della pasqua ma comunque ha un peso particolare nell’economia del tempo. È l’inizio stupefacente del viaggio che Dio ha fatto incontro all’uomo. È il momento in cui non solo tende la mano ma ce la stringe. È il momento ineffabile in cui comincia a farsi povero, a farsi piccolo, a farsi servo, ad abbassarsi per sollevarci alle sue stesse altezze, alla sua stessa statura. Ci viene a cercare e ci mette sulle sue spalle facendoci provare le vertigini di un amore che nessuno aveva sperimentato così terso e illimitato.
Cominciamo questo tempo con l’avvento che vuole aiutare il cuore ad abbandonare tante cose che luccicano e a puntare al tesoro vero. Vuole aiutarci a portare nel cuore un’attesa continua, struggente, paziente, sicura dello Sposo che presto arriverà. Vuole aiutare il cuore a non distrarsi e a non lasciarsi sprofondare dalle tenebre dei fatti che rischiano di appesantire il passo, di spegnere la speranza e di chiuderci in una apatia rassegnata. Sii umile. Non essere tu il maestro di te stesso. Tieni accesa questa luce che non brilla ma illumina il cammino. Tutto il cammino.