Gira la voce

Carissimi,

l’anno liturgico ormai volge al termine e il nuovo bussa alle porte. Sempre all’inizio e alla fine di questo tempo, in cui celebriamo l’opera di Dio nella storia, la sua premura costante verso le sue creature, siamo chiamati a fissare lo sguardo e il cuore alla venuta di Cristo. Non a quella che ci fu duemila anni fa, ma a quella che ci sarà. La comunità cristiana vive facendo memoria continua della morte e della risurrezione di Cristo, cioè del suo amore sorprendente, generoso, grande, fedele, senza limiti e senza eccezioni, riversato su tutti e regalato a ciascuno; e vive anche nella costante attesa del suo ritorno, aspettando che si compia la beata speranza, cioè che venga il nostro Salvatore Gesù Cristo. Spesso viviamo nell’attesa ossessiva che si possano realizzare i nostri piccoli progetti e di riuscire a realizzare i nostri programmi e i nostri desideri e siamo così lontani dall’avere nel cuore quello che abbiamo sulle labbra che cioè venga il suo regno, che si compiano i suoi disegni. Questo tempo di avvento prima di prepararci al Natale ci vuole aiutare ad avere uno sguardo di fede sulla storia.

Vedendo quello che accade non è difficile cadere nello sconforto e fare considerazioni catastrofiche sulla storia; guardando i fatti è facile convincersi che tutto finisce male e che il niente ci tiene il fiato sul collo; il cristiano, però, sa che noi stiamo camminando non verso il nulla ma verso la pienezza. La storia non corre verso la sciagura ma verso cieli nuovi e terra nuova. La Chiesa, attraverso questo tempo liturgico, ci vuole aiutare a scrutare il fine della nostra vita per non ritrovarci smarriti durante il cammino; vuole aiutarci a fissare lo sguardo sulla meta per non perderci d’animo, ricordarci dove siamo diretti per non perdere il senso del viaggio. Come è urgente e salutare questo esercizio di fissare la meta! Soltanto avendo presente sempre il fine della nostra vita e della storia possiamo riconoscere qual è la direzione da dare alla nostra vita, qual è il peso da dare a tutte le nostre battaglie e alle nostre fatiche, scoprire che cosa serve e che cosa abbandonare, sapere se stiamo o no facendo quello che ci aiuta e che aiuta quanti ci camminano a fianco. Se non sappiamo dove siamo diretti possiamo anche camminare molto, ma non arriviamo da nessuna parte.

Domenica 29 novembre alle ore 19 alcune famiglie della nostra comunità, che fanno parte della fraternità secolare delle Figlie dei Sacri Cuori, rinnoveranno le promesse evangeliche, tra queste alcune si consacreranno per la prima volta e altre in forma definitiva. È un modo per farsi chiamare per nome, cioè per farsi coinvolgere personalmente dalla bellezza esigente del Vangelo.

Siamo invitati tutti a vivere un momento di comunione. Non è facile. Spesso nelle parrocchie avviene come in certe famiglie: separati in casa. È molto facile avere e coltivare una logica e uno spirito di gruppo piuttosto che avere uno spirito di comunione. Il fatto che uno sceglie un percorso per seguire Cristo, all’interno della comunità cristiana, non vuol dire che ognuno va per la sua strada. Come la casa può diventare un albergo dove tutti quelli che vi abitano si sentono estranei a ciò che avviene, così la parrocchia può essere un albergo dove tutti quelli che passano si sentono estranei o fratelli solo di alcuni. E possiamo trovarci in una casa dove ci sono tanti individui ma non c’è famiglia e in una parrocchia dove ci sono tanti gruppi ma non c’è chiesa. Non è vero che dove c’è barilla c’è casa (è una cretinata), dove c’è famiglia c’è casa, come è vero che dove c’è comunione c’è Cristo. Che il Signore ci conceda di accettare la dolce e faticosa sfida di essere fratelli. Con tutti.

Vi benedico

  1. Emanuele, p. Mario e p. Luigi

ALZATEVI  E  LEVATE  IL  CAPO

Carissimi fedeli,

potrebbe sembrare, a prima vista, che il Vangelo di oggi faccia da cassa di risonanza per le nostre paure, per cui ci viene quasi la voglia di dire “Basta Signore adesso ti ci metti anche Tu, perché mai aumenti la nostra angoscia parlandoci di stelle che precipitano, di soli che si spengono, di lune che non danno più luce, perché mai amplifichi i nostri incubi collettivi, dal momento che oggi ci dici testualmente nel Vangelo «…gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di tutto ciò che dovrà accadere sulla terra». Gli uomini moriranno per la paura come se già non bastassero le nostre paure? Ma ne abbiamo già tante per conto nostro, o no, non la paura del buio, la paura del lampo, del tuono, dei terremoti, delle tempeste… lo sappiamo oggi le paure hanno traslocato, si sono cioè trasferite dalla fascia cosmica, per così dire, alla fascia antropologica, non si articolano più attorno al cuore della natura, le paure si articolano attorno al cuore dell’uomo. Oggi, cioè, non si ha più paura della carestia provocata dall’avarizia della terra, ma si ha paura, angoscia della carestia provocata dall’avarizia, dall’egoismo dell’uomo. E dal cuore umano che nasce e si sviluppa la nube tossica delle paure contemporanee: paura dell’aids, paura della droga, paura di Chernobyl, paura dell’Enichem, paura del grano radioattivo, paura delle scorie tossiche, paura dello squilibrio dell’ecosistema, paura delle manipolazioni genetiche… poi paura del proprio simile, paura del vicino di casa, paura di chi mette in crisi le nostre polizze di assicurazioni, di chi mette in discussione cioè i nostri consolidati sistemi di tranquillità, se non di egemonia… paura dello zingaro, paura dell’altro, paura del diverso, paura dei marocchini, paura dei terzomondiali, paura di questi protagonisti delle invasioni moderne, che se non chiamiamo barbariche è soltanto perché ci coglie il sospetto che questo aggettivo debba aspettare più a noi, così detti popoli civili, che dopo duemila anni di cristianesimo, siamo ancora veramente incapaci di accoglienze evangeliche. Paura di uscire di casa, paura della violenza, paura del terrorismo, paura della guerra, paura dell’olocausto nucleare, paura di questa apocalisse a rate che ci viene somministrata dalla produzione crescente delle armi e dal loro squallido commercio, clandestino e palese.

Paura di non farcela, paura di non essere accettati, paura di non essere più capaci di uscire da certi pantani nei quali ci siamo infognati, paura che sia inutile impegnarsi, paura che tanto il mondo non possiamo cambiarlo noi, paura che ormai i giochi siano fatti, paura di non trovare lavoro, quante paure… ebbene di fronte a questo quadro così allucinante di paure umane che cosa ci dice oggi il Signore? Intinge anche Lui il pennello nel barattolo nero dello scoraggiamento per aiutarci a dipingere questa nuova tragica tela di Guernica? Certamente no, no, non è così! Anzi il vangelo di oggi è proprio il vangelo dell’anti paura! Sì perché il Signore rivolge a noi lo stesso invito che l’angelo rivolse alla Vergine dell’attesa e dell’avvento: «Non temere Maria». Non temere, non aver paura chiesa.

Vedete paura ha la stessa radice di pavimento, viene dal latino, pavere, pavire, significa battere il terreno per allivellarlo; come terrore ha la stessa radice di terra; paura quindi, paura, pavura è la conseguenza di essere battuto, dell’essere calpestato, dell’essere allivellato, dell’essere appiattito.

Ora che cosa mi dice il Signore di fronte a queste paure? Rimani lì steso sul pavimento? Rimani lì atterrito, atterrato? No. Mi dice la stessa cosa che ha detto a Maria “non aver paura, non temere”. Adopera di fatto due verbi bellissimi, li abbiamo sentiti poco fa risuonare Alzatevi, «Alzatevi e levate il capo», sono i due verbi dell’anti paura sono i due verbi dell’Avvento, sono le due luci che ci devono accompagnare nel nostro cammino che ci prepara al Natale.

Alzatevi e levate il capo. Alzarsi significa che il Signore è venuto già duemila anni fa proprio per aiutarci a vincere la rassegnazione, alzarsi significa riconoscere che se le nostre braccia si sono fatte troppo corte per abbracciare tutta intera la speranza del mondo il Signore ci presta le sue; alzarsi significa abbandonare il pavimento della cattiveria, della violenza, dell’ambiguità perché il peccato invecchia davvero la terra; significa insomma alzarsi, allargare lo spessore della fede; ma alzarsi significa anche allargare lo spessore della speranza puntando lo sguardo verso il futuro da dove Egli verrà un giorno nella gloria per portare a compimento tutta la sua opera di salvezza … e allora lo sapete fratelli non ci sarà più né pianto, né lutto e tutte le lacrime saranno asciugate dal volto degli uomini. Canto per Cristo un giorno tornerà, festa per tutti gli amici. Che paura dobbiamo avere!

Questo significa alzarsi…e che significa levare il capo? Levare il capo? Fare un colpo di testa. Reagire, muoversi essere convinti che il Signore viene ogni giorno, ogni momento nel qui e nell’ora della storia, viene come Ospite velato. Quindi saperlo riconoscere nei poveri, negli ultimi, nei sofferenti, significa in definitiva allargare lo spessore della carità.

Ecco allora il senso di questo avvento che ci viene espresso dall’augurio che s. Paolo ci ha rivolto poco fa: «Il Signore vi faccia crescere nell’amore vicendevole e verso tutti», verso tutti, senza esclusione di nessuno. Bellissimo quello che sta facendo in questi giorni la caritas romana, che sfidando tante paure, tante preoccupazioni, tanti luoghi comuni, ha aperto delle case di accoglienza per i malati di aids, sapete che giovedì prossimo, il primo, sarà la giornata mondiale contro l’aids, non contro i portatori di aids.

Verso tutti, verso tutti! Magnifico il lavoro di tanti gruppi, associazioni che si mettono accanto agli handicappati, agli anziani, ai malati cronici, ai malati terminali, ai dimessi degli ospedali psichiatrici, ai dimessi dalle carceri… verso tutti. Splendido quello che stanno facendo tante comunità cristiane a favore dei terzomondiali che offrono a loro non soltanto un letto ma anche la buona notte e soprattutto incalzano le pubbliche autorità perché i provvedimenti di legge siano meno disumani ed ambigui delle norme vigenti. Verso tutti, incredibile quello che oggi stanno facendo tanti movimenti di volontariato per promuovere una maggiore giustizia sulla terra, per combattere quelle che il papa ha chiamato coraggiosamente le strutture di peccato, per difendere i diritti umani dei popoli palestinesi che vivono in condizioni subumane nei campi di concentramento, per difendere i diritti umani di tanti popoli segregati dalle leggi razziali nel sud africa, per aiutare i popoli che soffrono la fame nell’Eritrea, nel Sudan in questi giorni…che devastazioni, per diffondere una nuova coscienza di pace, per smilitarizzare le coscienze, e non soltanto le coscienze, ma anche i territori.

Coraggio, allora, fratelli, alzatevi, levate il capo, muovetevi, fate qualcosa, il mondo cambierà, anzi sta cambiando, non ve ne accorgete? Non li vedete i segni dei tempi di cui parla Gesù nel Vangelo? Gli alberi di fico mettono già le prime foglie e sul nostro cielo il rosso di sera non si è ancora scolorito.

Mi viene da pensare che anche in cielo oggi comincia l’Avvento, il periodo dell’attesa. Qui sulla terra è l’uomo che attende il ritorno del Signore, lassù nel cielo è il Signore che attende il ritorno dell’uomo. Ritorno che si potrà realizzare con la preghiera, con una vita di povertà, di giustizia, di limpidezza, di purezza, di amore, e con la testimonianza evangelica, e con una forte passione di solidarietà. Ecco mentre per questo cammino di ritorno ci affidiamo alla Madonna dei martiri, alla Vergine dell’attesa, alla Madre della speranza, cerchiamo di mettere in pratica quello che ci dice S. Agostino: «Aiuta coloro con i quali cammini, per poter raggiungere colui col quale desideri rimanere» Se è così già fin d’ora… Buon Natale!

(don Tonino Bello omelia per l’avvento 27 novembre 1988)

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