O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,
con la bocca di bambini e di lattanti:
hai posto una difesa contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi:
tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.
O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

Salmi 8

GLI HAI DATO POTERE SULLE OPERE DELLE TUE MANI

di Don Tonino Bello

Voi, il racconto di Prometeo, ve lo ricordate. Volle rubare il fuoco agli dèi, e, col fuoco, una scintilla del loro smisurato potere. E ci riuscì. È vero che la pagò cara, perché Giove, una volta accortosi del furto, lo fece incatenare su una roccia del Caucaso. Ma nella fantasia popolare è rimasto come il simbolo della fierezza e dell’audacia. L’eroe glorioso della stirpe umana. Il promotore inquieto delle rivendicazioni terrene, che ha saputo contrastare con successo l’egemonia dei signori del cielo. Prometeo, insomma, è passato nell’immaginario della gente come colui che ha avuto il coraggio di sottrarre agli dèi il segreto di una insopportabile onnipotenza obbligandoli, in un certo senso, a fare i conti con i miseri mortali. Basterebbe questa leggenda mitologica per misurare l’abissale contrasto che divide la concezione pagana dal messaggio biblico. Anzi, tra le verità più splendide della fede cristiana, penso che emerga proprio questa: il nostro Dio non soffre di gelosia. Non considera l’uomo come suo rivale. Ma come partner che collabora con lui nel cantiere sempre aperto della creazione. Come socio, cioè, di pari dignità, nella sua cooperativa di lavoro. Non
si macera nel timore che l’uomo un giorno o l’altro debba trafugargli i brevetti delle sue invenzioni. Ma gli concede i poteri delegati su tutte le ricchezze dell’universo. Non nasconde i suoi segreti nella cassaforte del mistero. Ma li squaderna sotto gli occhi dell’uomo. Perché non ne teme la concorrenza. Anzi, ne sollecita la collaborazione. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani. Se non sapessimo che è il versetto di un salmo
altamente lirico, ci sembrerebbe la stesura di un verbale di consegna. O forse, meglio, ci parrebbe il passaggio solenne di un rogito notarile con cui si prende ufficialmente atto dell’incoronazione dell’uomo a viceré dell’universo. In realtà con queste parole bibliche veniamo messi a conoscenza, come se ce ne fosse ancora bisogno, dei nostri diritti regali su tutto il creato. Ma, si badi bene, sul creato: da custodire e portare a compiutezza. Non da manipolare a piacimento combinandolo e scombinandolo secondo le lussurie dei nostri capricci. Sul manufatto di Dio. Su quadri d’autore, cioè. Non su tavolozze indistinte o su tele pasticciate. Su capolavori con tanto di firma. Che noi abbiamo l’obbligo di incorniciare e di esporre. Non di imbrattare o di
dare alle fiamme. Sulle opere delle sue mani. Non su grezzi materiali di risulta o su coacervi di macerie. Sui capolavori della sua tenerezza. Che gli costano spreco di genio e rivoli d’amore. Che noi dobbiamo sentirci in dovere di riportare continuamente a primitivi splendori, facendone sprigionare, con religioso rispetto, le interne energie di santità. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani. Potere, non diritto di abuso. Signoria, non licenza di mettere a soqquadro. Autorità, non spadroneggiamento sulle cose. Dio, in altri termini, ha costituito l’uomo principe, non despota. Reggitore, non tiranno. Ministro dell’ordine a servizio della vita, non anarchico distruggitore del cosmo. Tesoriere delle struggenti bellezze della natura, non delirante demiurgo che le riaffonda nei vortici del caos primordiale. Gli ha affidato la tela dell’universo da lui costruita con
paziente tessitura, non perché la sfilacciasse. Ma perché continuasse a ricamarla con tutta la sapienza del suo genio. Carissimi catechisti, scusate. Debbo fermarmi. Perché sul teleschermo, che ho lasciato acceso, scorrono le immagini di una allucinante antigenesi. È l’ennesima puntata del racconto della decreazione. Va in onda ogni sera, anzi più volte al giorno, da più di un mese. Città massacrate. Macerie di ponti divelti. Scempio
nei covi della povera gente. Ferraglie rapprese su dune di morte. Crateri di desolazione. Sterminio di secolari fatiche. Bocche di acciaio che vomitano fuoco. Bocche di carne che vomitano sangue. Turbini di fumo. Mari che trascolorano nelle dissolvenze mostruose del biblico Leviathan. E da una sporgenza di roccia, simbolo spaurito della nostra rassegnata impotenza o della nostra suicida follia, un cormorano. Con le ali appesantite. Che tenta inutilmente di levarsi in volo su una livida fiumana di greggio. P.S. In cappella, stasera, ho implorato il Signore così: «Riprenditi, almeno per un poco, il potere che ci hai dato sulle opere delle tue mani». Se ho pregato così, è segno che non ho perso la speranza. Alleluia!

Tratto da: Tonino Bello Scrivo a voi… Lettere di un vescovo ai catechisti EDB

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