O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,
con la bocca di bambini e di lattanti:
hai posto una difesa contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi:
tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.
O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

Salmi 8

CHE COSA È L’UOMO PERCHÉ TE NE RICORDI?

di Don Tonino Bello

Mi piacque a tal punto, che otto anni fa, quando lasciai la parrocchia, quella frase volli segnarla sul ricordino d’addio. È il v. 16 del c. 49 di Isaia. Non ti dimenticherò mai — dice il Signore —. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani. Oggi mi vergogno un po’ per aver riportato quella frase. Perché pian piano, a dispetto di tante promesse e con tutte le assicurazioni giurate di ricordi imperituri, mi sto dimenticando di tutti. Quante
volte riconosco un volto, ma non so più dargli un no-me! E sento risuonare un nome dall’altro capo del telefono, ma non so più dargli un volto. Dio, che tristezza! E una specie di oltraggio col contagocce che non risparmia né consolidate amicizie, né conoscenze diuturne. Ma che volete, il tempo passa. Si sfilacciano perfino i lineamenti delle persone più care. Si sgretolano le identità. Nel gioco malinconico delle dissolvenze, le figure umane perdono i contorni. E poi-ché, come dice il proverbio, chiodo scaccia chiodo, i profili antichi
cedono il posto senza pietà a immagini più fresche. È vero che ogni tanto basta un richiamo per far emergere dal sottosuolo della co-scienza brandelli di memorie, ma diventa così difficile connetterli tra loro, che non è raro esporsi al pericolo di mortificare o deludere qualcuno. «Ciao, Antonella, chi si rivede! Come stai?». «Sto bene. Grazie. Ma non sono Antonella, sono Maria Lucia. Non ti ricordi più?». «Già, è vero! Ti confondevo con
Antonella, la catechista dell’ultimo anno di cresima. Anzi, no: quella si chiamava Barbara, mi pare. Insomma, non importa… Tuo fratello gioca sempre nella squadra di pallavolo? Ah, che smemorato, tu non hai fratelli: ti scambiavo con la Paola». Scusami, Maria Lucia, se ti ho deluso. E scusami anche se, stasera, farai una smorfia di delusione, leggendo quella frase sul ricordino di otto anni fa, e non crederai più che io abbia scritto davvero il tuo nome sulle palme delle mie mani. Però voglio dirti una cosa. Quella frase è vera. Lo so, ho fatto male io ad appropriarmene, usurpando al Signore una finezza incompatibile con la mia ridicola grossolanità. Non dovevo proprio sottoscriverla, conoscendomi vittima delle più sconcertanti amnesie. Ma se al posto del mio
autografo sciagurato, ci metti la firma di Dio, quella frase tornerà a splendere in tutta la sua sovrumana bellezza. Non ti dimenticherò mai. È lui che, questa frase, la ripete a te, a me, a tutti. Fin da quando siamo stati concepiti nel grembo materno. Lui che, come dice il profeta Baruc, chiama le stelle per nome, ed esse gli rispondono «eccomi» brillando di gioia! Lui che non deposita negli archivi i nostri volti, ma li sottrae all’usura
delle stagioni illuminandoli con la luce dei suoi occhi. Lui che non seppellisce i nostri nomi nel parco delle rimembranze, ma li evoca a uno a uno dalla massa indistinta delle nebulose e, pronunciandoli, con la passione struggente dell’innamorato, li incide sulle rocce dei colli eterni… Carissimi catechisti, sono convinto che il
credito dei ragazzi a tutti i vostri messaggi si misura proprio di qui. Dalla convinzione con cui farete loro capire che nel vocabolario di Dio non esistono nomi collettivi. Che le persone, lui non le ama in serie. Che se per la civiltà informatica Gigi, uscito dal manicomio, è niente più che un «soffio» elettronico da immagazzinare nei dischi rigidi dei ser-vizi sociali del comune, per il Signore rimane sempre un principe dell’universo. Che i massacri operati dalle violenze umane trovano sugli occhi di Dio lacrime per ognuno, e non pianti globali. Che nelle fosse comuni dei terremotati, egli si aggira alla ricerca di sembianze inconfondibili su cui lasciare l’impronta di una carezza, e non per collocare piastrine di riconoscimento col numero di matricola. Che l’incupirsi per fame di una sola creatura del Sahel gli dà più angoscia che l’oscurarsi di Sirio o l’affievolirsi delle Pleiadi. E che per i lividi sul volto di Maria, percossa dal marito ubriaco, si turba più di una madre per la febbre del suo unigenito. Chi è l’uomo perché te ne ricordi? La risposta forse la si può trovare accartocciata in quel viluppo di panni con cui Bartolo, la notte, si ripara dal freddo sotto il portale della chiesa. Ai nostri occhi quei panni sembrano cenci che coprono membra fetide di sudore. Agli occhi di Dio, invece, sono reliquiari che racchiudono frammenti di santità.

Tratto da: Tonino Bello Scrivo a voi… Lettere di un vescovo ai catechisti EDB

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