Carissimi,
siamo nel pieno della quaresima e ci avviciniamo ad un appuntamento importante per la nostra comunità: la via crucis sul Ponte. È una ricorrenza felice perché ci permette di portare all’interno dell’Ateneo una sapienza diversa da quella che spesso abita la nostra vita. Questa sapienza non contesta la ricerca o le scienze. Nel modo più assoluto. Il lavoro meticoloso di molti fratelli e sorelle in questo luogo sono il prolungamento dell’opera di Dio. Nei racconti della creazione appare chiarissimo che Dio non vuole fare tutto e lascia, con umiltà, parte dell’opera nelle nostre mani. Infatti custodirla non significa, come nella parabola dei talenti, sotterrarla, ma scoprirne le ricchezze e trovarne i segreti per il bene di tutti.
La sapienza della croce viene a contestare la scienza della vita, potremmo dire “la mentalità acquisita”, e diventata norma. Una mentalità che si impone così facilmente che non permette di vedere approcci alternativi. Questa mentalità porta ad arricchirci. Sì, perché arricchirsi non significa solo accumulare denaro, ma anche risorse immateriali che ci portano ad avere competenze, conoscenze, abilità, professionalità che ci pongono in vantaggio rispetto agli altri. E anche questa ricchezza può essere vissuta per sé, per allungare il passo rispetto agli altri e lasciarli indietro oppure può essere usata per non lasciare nessuno indietro e perché nessuno, nell’affanno e nella fatica, venga addirittura dimenticato perché non riesce a tenere il passo.
La sapienza della croce annuncia con limpida chiarezza, e senza possibilità di fraintendersi, che tutto quello che non si condivide si perde; riorienta la nostra preparazione e la nostra fatica nello studio e nella ricerca. Non possiamo farci più ricchi per prendere le distanze e ritrovarci stupidamente vittoriosi. E nemmeno possiamo servirci dei vantaggi della vita per umiliare gli altri e per guadagnare di più e senza scrupoli.
Non c’è un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici. Non c’è realizzazione più autentica e che sazia davvero la nostra fame di pienezza se non quella di spendersi per gli altri.
Allora la croce che passa ci interroga. Per chi mi preparo? Non chi voglio diventare e dove posso arrivare, ma chi voglio raggiungere e cosa posso e voglio offrire.
La croce ci invita a capovolgere le priorità. Gesù anche se muore solo, non muore per sé. Noi con le nostre prospettive distorte rischiamo di morire solamente soli. Nella vita di Gesù la via crucis è stato l’ultimo tratto, ma tutta la sua vita, ogni tensione, ogni passo, ogni slancio, ogni fatica, ogni difficoltà… tutto era orientato al dono che pensava di fare, al dono che pensava di essere.
Un tempo la gente dalle nostre parti piangeva per il poco che stringeva nelle mani. Oggi la gente piange e si danna per il troppo che vuole trattenere nelle mani e non è disposto a mollare.
La croce che passa tra i luoghi di queste fatiche che ci preparano ad essere professionisti nel futuro ci dia una luce nuova su ogni nostro sforzo. Perché ogni fatica che perde la mira perde anche il suo senso. Ogni fatica che perde l’orientamento lascia solo stanchezza senza lasciare traccia di una pace di cui abbiamo sempre fame. E lascia anche gli altri a morire di freddo. La croce porti un riflesso di bellezza sul ponte che non ci fa passare soltanto al domani, ma ci conduce ai fratelli.
Il Signore vi benedica
p. Emanuele, p. Francesco e p. Amedeo