Carissimi,
vivere il Natale non è solo un’occasione per stare insieme, per riunirsi in famiglia e per passare un po’ di tempo insieme. Il che non è per niente poco. Abbiamo tutti bisogno di fermaci gli uni con gli altri, abbiamo tutti bisogno di relazioni fraterne, relazioni in cui ci sentiamo accolti e dove gli altri si sentano a casa.
Il Natale è anche e soprattutto la risposta a un grido che sale dalla nostra povera umanità; un’umanità stanca, che ha rallentato il passo, che sonnecchia perché fa fatica a reggere all’urto della realtà, un’umanità che non riesce a trovare risposte all’insoddisfazione da cui è abitata, che si mostra spesso sicura e veloce, ma nasconde numerose paure che spengono qualsiasi forma di slancio autentico, che si guarda con indifferenza e con diffidenza, che, spaventata persino dalla sua stessa ombra, vede troppi nemici, che fa fatica ad alzare la testa e a guardare lontano, non riesce a guadare oltre, a guardare avanti e si accontenta, amaramente, di vivere spremendo fino all’ultima goccia ogni giorno che le viene tra le mani, un’umanità che spesso invoca la morte come l’unica via di uscita; un’umanità che piange per la miseria e la fame, per una penuria così soverchiante da non riuscire a garantire un poco di pane per i figli generati alla vita, un’umanità che non trova pace e non vede pace, che è costretta a vivere in una precarietà continua e angosciante, che vede pioversi addosso una pioggia di bombe, che vede partire i suoi giovani e perderli nei conflitti, che non può più avere la serenità di ritrovarsi a casa a celebrare i legami più belli, che non può curarsi perché nel raggio di centinaia di chilometri non c’è un posto dove poter trovare medicine e mezzi per ritrovare la salute e per curare i propri figli, la propria madre, il proprio papà… un’umanità che non può rimanere lì dove è nata, ma che è costretta a scappare da un posto che ti condanna, un’umanità sfruttata, calpestata, offesa, usata, che soccombe sotto il peso che gente senza scrupoli mette sulle sue spalle, un’umanità che si vede sistematicamente derubata di tutto…
Sì il Natale è la risposta al grido che sale dalla terra. Come dice il profeta Isaia “Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia”. È il grido di chi ha fame e sete di giustizia, di chi ha fame di salvezza, di chi ci spera ancora, di chi non chiude la partita con la vita con la rassegnazione, ma crede che è ancora possibile una vita diversa, cieli nuovi e una terra nuova dove il lupo e l’agnello pascoleranno insieme e dove gli uomini si cercheranno come fratelli.
Dio non lascia andare a vuoto neppure il lamento più nascosto e muto, il pianto solamente accennato, il più piccolo grido che appena appena si sente, non lascia e non lascerà perdere neppure una lacrima…
Possano i nostri occhi, come quelli limpidissimi e belli dei bambini, essere felicemente stupiti e sgranati davanti a questo meraviglioso spettacolo di Dio che si fa vicino e, per camminare con noi, si fa piccolo e viene per risollevarci, per indicarci la via della vita, per farci uscire dalla prigione della paura e per tiraci fuori da ogni forma di morte e di inferno. Non lasciamo che la terra gridi senza il nostro aiuto. Possa ciascuno di noi sentire il desiderio di essere presto visitato da Dio; ciascuno di noi faccia tutta la resistenza possibile a ogni forma di rassegnazione che si affaccia sul cuore, manteniamo acceso un filo di speranza, difendiamolo da ogni forma di tristezza e di angustia. Buon Natale sorella amatissima da Dio.
Buon Natale fratello amatissimo da Dio. Il suo amore per te possa tornare a far brillare il tuo volto di vera bellezza. Senza il bisogno di aggiungere trucchi. Il Signore vi benedica
p. Emanuele, p. Francesco e p. Amedeo
LA LEZIONE DELLA MANGIATOIA
Omelia di papa Francesco nella messa della notte di Natale 2022
Questa notte, che cosa dice ancora alle nostre vite? Dopo due millenni dalla nascita di Gesù, dopo molti Natali festeggiati tra addobbi e regali, dopo tanto consumismo che ha avvolto il mistero che celebriamo, c’è un rischio: sappiamo tante cose sul Natale, ma ne scordiamo il significato. E allora, come ritrovare il senso del Natale? E soprattutto, dove andare a cercarlo? Il Vangelo della nascita di Gesù sembra scritto proprio per questo: per prenderci per mano e riportarci lì dove Dio vuole. Seguiamo il Vangelo.
Inizia infatti con una situazione simile alla nostra: tutti sono presi e indaffarati per un importante evento da celebrare, il grande censimento, che richiedeva molti preparativi. In tal senso, il clima di allora era simile a quello che ci avvolge oggi a Natale. Ma da quello scenario mondano il racconto del Vangelo prende le distanze: “stacca” presto l’immagine per andare a inquadrare un’altra realtà, su cui insiste. Si sofferma su un piccolo oggetto, apparentemente insignificante, che menziona per ben tre volte e sul quale i protagonisti del racconto convergono: dapprima Maria, che pone Gesù «in una mangiatoia» (Lc 2,7); poi gli angeli, che annunciano ai pastori «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (v. 12); quindi i pastori, che trovano «il bambino, adagiato nella mangiatoia» (v. 16). La mangiatoia: per ritrovare il senso del Natale bisogna guardare lì. Ma perché la mangiatoia è così importante? Perché è il segno, non casuale, con cui Cristo entra nella scena del mondo. È il manifesto con cui si presenta, il modo in cui Dio nasce nella storia per far rinascere la storia. Che cosa ci vuole dire dunque attraverso la mangiatoia? Ci vuole dire almeno tre cose: vicinanza, povertà e concretezza.
1. Vicinanza. La mangiatoia serve a portare il cibo vicino alla bocca e a consumarlo più in fretta. Essa può così simboleggiare un aspetto dell’umanità: la voracità nel consumare. Perché, mentre gli animali nella stalla consumano cibo, gli uomini nel mondo, affamati di potere e di denaro, consumano pure i loro vicini, i loro fratelli. Quante guerre! E in quanti luoghi, ancora oggi, la dignità e la libertà vengono calpestate! E sempre le principali vittime della voracità umana sono i fragili, i deboli. Anche in questo Natale un’umanità insaziabile di soldi, insaziabile di potere e insaziabile di piacere non fa posto, come fu per Gesù (cfr v. 7), ai più piccoli, a tanti nascituri, poveri, dimenticati. Penso soprattutto ai bambini divorati da guerre, povertà e ingiustizia. Ma Gesù viene proprio lì, bambino nella mangiatoia dello scarto e del rifiuto. In Lui, bambino di Betlemme, c’è ogni bambino. E c’è l’invito a guardare la vita, la politica e la storia con gli occhi dei bambini.
Nella mangiatoia del rifiuto e della scomodità, Dio si accomoda: viene lì, perché lì c’è il problema dell’umanità, l’indifferenza generata dalla fretta vorace di possedere e consumare. Cristo nasce lì e in quella mangiatoia lo scopriamo vicino. Viene dove si divora il cibo per farsi nostro cibo. Dio non è un padre che divora i suoi figli, ma il Padre che in Gesù ci fa suoi figli e ci nutre di tenerezza. Viene a toccarci il cuore e a dirci che l’unica forza che muta il corso della storia è l’amore. Non resta distante, non resta potente, ma si fa prossimo e umile; Lui, che sedeva in cielo, si lascia adagiare in una mangiatoia.
Fratello, sorella, Dio stanotte si fa vicino a te perché gli importa di te. Dalla mangiatoia, come cibo per la tua vita, ti dice: “Se ti senti consumato dagli eventi, se il tuo senso di colpa e la tua
inadeguatezza ti divorano, se hai fame di giustizia, io, Dio, sono con te. So quello che tu vivi, l’ho provato in quella mangiatoia. Conosco le tue miserie e la tua storia. Sono nato per dirti che ti sono e ti sarò sempre vicino”. La mangiatoia del Natale, primo messaggio di un Dio infante, ci dice che Lui è con noi, ci ama, ci cerca. Coraggio, non lasciarti vincere dalla paura, dalla rassegnazione, dallo sconforto. Dio nasce in una mangiatoia per farti rinascere proprio lì, dove pensavi di aver toccato il fondo. Non c’è male, non c’è peccato da cui Gesù non voglia e non possa salvarti. Natale vuol dire che Dio è vicino: rinasca la fiducia!
2. La mangiatoia di Betlemme, oltre che di vicinanza, ci parla anche di povertà. Attorno a una mangiatoia, infatti, non c’è molto: sterpaglie e qualche animale e poco altro. Le persone stavano al caldo negli alberghi, non nella fredda stalla di un alloggio. Ma Gesù nasce lì e la mangiatoia ci ricorda che non ha avuto altro intorno, se non chi gli ha voluto bene: Maria, Giuseppe e dei pastori; tutta gente povera, accomunata da affetto e stupore, non da ricchezze e grandi possibilità. La povera mangiatoia fa dunque emergere le vere ricchezze della vita: non il denaro e il potere, ma le relazioni e le persone.
E la prima persona, la prima ricchezza, è proprio Gesù. Ma noi vogliamo stare al suo fianco? Ci avviciniamo a Lui, amiamo la sua povertà? O preferiamo rimanere comodi nei nostri interessi? Soprattutto, lo visitiamo dove Lui si trova, cioè nelle povere mangiatoie del nostro mondo? Lì Egli è presente. E noi siamo chiamati a essere una Chiesa che adora Gesù povero e serve Gesù nei poveri. Come disse un vescovo santo: «La Chiesa appoggia e benedice gli sforzi per trasformare le strutture di ingiustizia e mette soltanto una condizione: che le trasformazioni sociali, economiche e politiche ridondino in autentico beneficio per i poveri» (O.A. Romero, 1980). Certo, non è facile lasciare il caldo tepore della mondanità per abbracciare la bellezza spoglia della grotta di Betlemme, ma ricordiamo che non è veramente Natale senza i poveri. Senza di loro si festeggia il Natale, ma non quello di Gesù. Fratelli, sorelle, a Natale Dio è povero: rinasca la carità!
3. Arriviamo così all’ultimo punto: la mangiatoia ci parla di concretezza. Infatti, un bimbo in una mangiatoia rappresenta una scena che colpisce, persino cruda. Ci ricorda che Dio si è fatto davvero carne. E allora su di Lui non bastano più le teorie, i bei pensieri e i pii sentimenti. Gesù, che nasce povero, vivrà povero e morirà povero, non ha fatto tanti discorsi sulla povertà, ma l’ha vissuta fino in fondo per noi. Dalla mangiatoia alla croce, il suo amore per noi è stato tangibile, concreto: dalla nascita alla morte il figlio del falegname ha abbracciato le ruvidità del legno, le asperità della nostra esistenza. Non ci ha amato a parole, non ci ha amato per scherzo!
E dunque, non si accontenta di apparenze. Non vuole solo buoni propositi, Lui che si è fatto carne. Lui che è nato nella mangiatoia, cerca una fede concreta, fatta di adorazione e carità, non di chiacchiere ed esteriorità. Lui, che si mette a nudo nella mangiatoia e si metterà a nudo sulla croce, ci chiede verità, di andare alla nuda realtà delle cose, di deporre ai piedi della mangiatoia scuse, giustificazioni e ipocrisie. Lui, che è stato teneramente avvolto in fasce da Maria, vuole che ci rivestiamo di amore. Dio non vuole apparenza, ma concretezza. Non lasciamo passare questo Natale, fratelli e sorelle, senza fare qualcosa di buono. Visto che è la sua festa, il suo compleanno, facciamogli regali a Lui graditi! A Natale Dio è concreto: nel suo nome facciamo rinascere un po’ di speranza in chi l’ha smarrita!
Gesù, guardiamo a Te, adagiato nella mangiatoia. Ti vediamo così vicino, vicino a noi per sempre: grazie, Signore. Ti vediamo povero, a insegnarci che la vera ricchezza non sta nelle cose, ma nelle persone, soprattutto nei poveri: scusaci, se non ti abbiamo riconosciuto e servito in loro. Ti vediamo concreto, perché concreto è il tuo amore per noi: Gesù, aiutaci a dare carne e vita alla nostra fede. Amen.