L’ULTIMO CIOTTOLO

di don Tonino Bello

Carissimo Davide,
sono certo che questa lettera non ti farà piacere. Per tanti motivi. Prima di tutto, perché fruga nel tuo torbido passato. E tu puoi essere uomo di Dio finché vuoi, ma la rievocazione indiscreta delle proprie malefatte dà sempre fastidio: anche quando sono state lavate da un pianto sincero come il tuo.
In secondo luogo, perché ti rovina un po’ l’aureola di santo con cui, sia pure attraverso la finestra del pentitismo, sei entrato nell’immaginario della gente. È come se un cortocircuito ti fulminasse mezze lampadine della corona di luce che ti splende sul capo.
E infine, perché mette in piazza un episodio poco conosciuto della tua vita. Forse meno tenebroso del delitto passionale che ti condusse a far fuori Uria e a portarti in casa la sua splendida signora, ma senza dubbio più inquietante, almeno nelle proporzioni.
Hai già capito a quale episodio voglio alludere. Si tratta di una fosca vicenda di estorsione, di fronte alla quale quelle dei taglieggiatori di oggi, che pretendono mazzette e impongono tangenti, sembrano giochi da bambini. Meno male che non si concluse in un bagno di sangue, così come in un primo momento tutto lasciava presagire. Se no saresti passato alla storia come il più iniquo rackettaro di tutti i tempi.
Ti chiedo scusa fin d’ora, comunque, per questa irruzione impietosa nelle tue vicende private. Non lo faccio per smanie dissacratorie. Ci mancherebbe altro che dovessi screditare dinanzi all’opinione pubblica il capostipite del mio Signore Gesù! Per me rimani sempre “il santo profeta Davide”, e, finché campo, ti sarò debitore per quello che i tuoi salmi hanno dato alla mia preghiera personale, arricchendola di poesia e di speranza.
Se mi intrometto nei tuoi affari e pubblicizzo un fascicolo poco noto dei tuoi trascorsi delinquenziali, è solo per dire che tutte le lacrime che hanno scavato il tuo volto sono state versate per cancellare anche quel crimine. Che se il tuo peccato fu grande, ancora più grande fu il tuo dolore. E che, pertanto, se è vero che invochiamo san Pietro perché ci preservi dal tradimento o san Tommaso apostolo perché ci scampi e liberi dall’incredulità, non vedo perché non dobbiamo implorare te per essere risparmiati, in termini attivi e passivi, da quel “delitto di estorsione” che ti vide perverso protagonista.
Ma veniamo ai fatti. Li riassumo dal carteggio riportato nel capitolo venticinque del primo libro di Samuele.
Dunque: un ricco massaro, di nome Nabal, che possedeva, tra pecore e capre, quattromila capi di bestiame, andò a Carmel per tosare il gregge.
Affari d’oro, naturalmente, con tutta quella partita di pura lana vergine. Un fatturato che al giorno d’oggi avrebbe mosso a invidia anche gli industriali del Veneto.
Fu qui che la cupidigia ti sedusse, caro il mio profeta.
Inviasti dei picciotti da Nabal e, per dirla in parole povere ma estremamente
aggiornate col vocabolario della malavita contemporanea, chiedesti il pizzo.
A dire il vero, la richiesta fu apparentemente cortese. Ci tenevi, del resto, a dare all’operazione i tratti della correttezza formale. E mandasti a dire testualmente così: Ho sentito, appunto, che stanno tosando le tue pecore. Ebbene, quando i tuoi pastori sono stati con noi, non li abbiamo molestati e niente delle loro cose ha subito danno… Da’, ti prego, quanto puoi dare…
Una vera e propria estorsione, la cui natura ricattatoria si svelò non appena, essendosi Nabal rifiutato di pagare la tangente, passasti alle vie di fatto senza neppure quelle procedure intermedie che si usano ai nostri giorni. Oggi, quando uno si rifiuta di pagare la mazzetta, gli si fa esplodere sotto casa una bomba di avvertimento o gli si forano le gomme della macchina. Tu, invece, no. Neppure questa delicatezza hai voluto usargli. Non gli hai sgangherato neanche la ruota di un traino, a scopo intimidatorio. Non ammettesti ragioni, insomma. Scavalcando a piè pari le manovre del galateo malavitoso, chiamasti quattrocento esponenti della tua manovalanza armata e ordinasti la rappresaglia: Cingete tutti la spada… non lascerò sopravvivere fino al mattino un solo maschio!
Le cose si sarebbero messe davvero male, se non fosse intervenuta Abigail, la moglie del massaro, la quale, o per paura o per chi sa quale altro sentimento, capitolò di fronte a questa prepotenza di stampo mafioso. E, siccome a quel tempo, per impedire il cedimento al ricatto, non c’era la magistratura che potesse ordinare il sequestro preventivo dei beni, questa signora, che la Bibbia qualifica di buon senso e di bell’aspetto, svuotò mezza masseria, caricò gli asini di ogni ben di Dio e ti venne incontro, per mettersi sotto la tua protezione. Fu così che, soddisfatto da quel pedaggio o affascinato dall’avvenenza della donna, placasti la tua ira di feroce taglieggiatore e non ne facesti più nulla. O meglio, qualcosa la facesti. Perché, essendogli a Nabal venuto un improvviso collasso cardiocircolatorio, ti sposasti Abigail e ti beccasti in un colpo solo tutta l’eredità. Alla faccia della giustizia!
Carissimo Davide, non dirmi che voglio fare dello scandalo a tutti i costi sulla tua pelle o che, rimestando nelle memorie che forse pensavi archiviate per sempre, inquino cinicamente la trasparenza con cui, presso i posteri, continua a vivere la tua immagine.
Se ho dato pubblicità al tuo gesto criminoso, non è perché intenda avanzare dubbi sui meriti che ti collocano tra i più grandi santi del Vecchio Testamento. Ma è solo perché nessuno meglio di te ha fatto tesoro dei propri errori e si è ravveduto a tal punto, da divenire maestro di conversione per tutti. Non hai detto tu stesso nel Miserere Insegnerò agli erranti le tue vie, e i peccatori a te ritorneranno? Insomma, è per apprendere meglio questa lezione che ti scrivo.
Vedi, noi oggi stiamo passando un brutto quarto d’ora in fatto di estorsione.
Se i nostri giornali arrivano anche in paradiso, non ti sfuggirà certamente come le gesta della malavita organizzata occupino la maggior parte delle prime pagine. E diventa sempre più difficile trovare un sottotitolo che non abbia a che fare con “’ndrangheta” e “camorra”, con “mafia” e “sacra corona unita”, con violenze di “boss” e “blitz” di polizia.
Pare che l’industria della “tangente”, anche a livello internazionale, sia quella
che tira di più. Non c’è imprenditore che non debba far la cresta ai suoi proventi, pagando dazi da capogiro a oscure consorterie che aleggiano alle sue spalle. Non c’è commerciante su cui non gravi la soprattassa in favore di misteriosi geni tutelari, che gli preservino la ditta dal fallimento. Non c’è professionista serio che non debba vivere sotto la minaccia del ricatto, o che non debba percentualizzare una consistente aliquota del suo patrimonio a fondo perduto se vuole lavorare tranquillo.
Le classiche società d’assicurazione non coprono più. Occorre contrarre polizze salatissime con le compagnie emergenti del crimine.
Si può evadere il fisco, ma non si possono evadere le cosche. Si può sfuggire al braccio della giustizia, ma non si sfugge ai tentacoli della piovra. Si può rinunciare perfino alla protezione dei “patroni” del cielo, ma non si può fare a meno di affidarsi alla protezione dei “padrini” della terra.
Abbiamo davvero toccato il fondo della barbarie e non sappiamo come liberarcene.
Le stiamo tentando un po’ tutte: la mobilitazione delle coscienze perché si ribellino alla legge dell’omertà, il ricorso ai numeri telefonici speciali della prefettura per denunciare i tentativi di estorsione, il potenziamento delle forze dell’ordine per scoraggiare gli illeciti, le istituzioni di speciali commissioni antimafia per contenere i guasti del male…
Ma non c’è niente da fare. Sono tutte armature pesanti, come quelle di Saul, che non ci permetteranno mai di abbattere Golia.
Ci vuole ben altro per vincere questa battaglia di civiltà: il rifiuto di ogni logica di violenza, la demistificazione della ricchezza, lo smascheramento degli idoli del denaro, il ripudio del guadagno facile, il rispetto della persona umana, la riscoperta della forza liberatrice del lavoro, l’orrore per ogni forma di connivenza con l’ingiustizia.
Occorre, insomma, quel cambio interiore di cui, dopo l’iniquità che hai commesso, tu ci sei stato impareggiabile maestro, e che porta un nome solo: conversione del cuore.
Forse nella fionda, per abbattere il gigante, non ci è rimasto che quest’ultimo ciottolo.

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