HOMO LUDENS

di don Tonino Bello

Carissima Sara,
che tu sia stata una donna di classe è risaputo da tutti.
Eri così bella che, quando con tuo marito lasciasti la terra di Canaan e scendesti in Egitto a causa della carestia, il Faraone perse la testa per te. E Abramo, per non perdere la sua, temendo cioè di esser fatto fuori come rivale in amore, invece che come moglie, pensò bene di presentarti come sorella.
Meno male che la storia si concluse senza compromessi e che, a salvarti l’onore, in quella circostanza, intervenne direttamente il Padreterno.
Il quale, oltre che di fascino, ti aveva colmata anche di un eccezionale “ésprit de finesse” che esplodeva ora nella giocondità del sorriso, ora nella prontezza delle battute con cui tenevi banco conversando con tuo marito o con gli ospiti di lui.
Una vera principessa, insomma, come il tuo nome sta a significare.
Peccato per quel guaio della sterilità, che ti aveva condotto alle soglie della vecchiaia senza la soddisfazione di un figlio! Sicché un giorno, per assicurare una discendenza a tuo marito, decidesti di farti sostituire dalla tua schiava Agar che gli partorì Ismaele.
A noi, diciamocelo con franchezza, quest’espediente della sostituzione sa parecchio di adulterio. Ma, tenuto conto che ai tuoi tempi tale procedura prevista dalla legge era considerata onestissima, dobbiamo concludere che ti sei mostrata di gran classe anche in questa circostanza. Perché le leggi possono cambiare col cambiare dei secoli, ma la gelosia delle donne rimane sempre quella: ieri, oggi, domani.
Ebbene, tu non sei stata gelosa di tuo marito e, ancora una volta, hai dato prova del tuo alto sentire.
Prosit, donna Sara!
Non pensare, però, che io ti stia portando la serenata.
Anzi, non vorrei che Abramo, trovando questa mia lettera tra i tuoi papiri, fosse lui a ingelosirsi.
Vi sbagliereste l’una e l’altro.
A dissipare, perciò, ogni equivoco, ti dico subito il motivo vero per il quale ti scrivo: esprimerti tutta la mia delusione per quanto è successo proprio nel momento in cui potevi essere la donna più felice della terra.
Sappiamo tutti come sono andate le cose, stando a quello che ci racconta il capitolo ventuno della Genesi.
Dopo la nascita di Ismaele, il Signore concesse finalmente anche a te il dono della maternità, quando ormai non se l’aspettava più nessuno, e desti ad Abramo un figlio. Forse in segno della tua schietta allegria, o per una specie di contrappasso con le tante lacrime dell’attesa, lo chiamasti Isacco, che vuol dire: sorriso.
Poi un giorno, ecco il fattaccio. Ti accorgesti che Ismaele, figlio della schiava,
scherzava col tuo Isacco. E tutta la gelosia che avevi saputo mascherare per tanto tempo come moglie, non sapesti più trattenerla come madre. Pretendesti l’allontanamento immediato di Agar e di suo figlio, e Abramo, sia pure con una tristezza mortale nel cuore, per motivi di quieto vivere dovette accontentarti.
Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana… scherzava con il figlio Isacco.
«Accidenti — pensasti — lo schiavetto sta giocando con mio figlio! Questa familiarità non mi piace proprio. Qui se non manteniamo le distanze, si imbrogliano le carte. Bisogna intervenire e separarli subito. Perché, se questi cominciano a stare insieme giocando, va a finire che staranno insieme tutto il resto della vita: anche nella spartizione dell’eredità e dei privilegi. Non vorrei che l’uguaglianza nel gioco preludesse ad altre uguaglianze nei diritti».
Dai, Sara, non nasconderlo. I motivi che ti ingelosirono furono questi: di bassa lega, di un’incredibile banalità mercantile. Se Ismaele continuava a sorridere con
“Sorriso”, sarebbe diventato un altro Isacco, alla pari in tutto e per tutto con lui: anche nel denaro.
Di qui, l’ordine perentorio ad Abramo: Scaccia questa schiava e suo figlio perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco.
Prevalse così la ragion di stato, il sorriso si spense, e il giocattolo si ruppe.
Peccato, Sara. Avrei voluto conservare di te un buon ricordo, perché sei stata una donna splendida e, con la tua grazia femminile, hai permesso a tuo marito di camminare sempre alla presenza del Signore. In fondo, se Abramo, per la sua fede, è considerato padre dei credenti, un po’ madre sentiamo anche te.
Quel “raptus” di gelosia, però, incrina la tua immagine dolcissima: non ci voleva proprio.
Forse esagero, ma per me ha il sapore del sacrilegio.
Perché, tramutando in pianto non solo la tenerezza di Ismaele ma anche il sorriso di Sorriso, hai frantumato l’icona dell’homo ludens”. Hai messo in atto un grave attentato al concetto primordiale della festa, negli archetipi della gioia infantile. Hai fatto diventare occasione di trauma ciò che per sua natura appartiene ai gesti santi della comunione. Hai inferto un colpo basso al momento più radicale della fantasia e della libertà. Hai trasferito, insomma, il tripudio creativo dei bambini dai campi erbosi della “ricreazione” nel deserto della “mortificazione” e del pianto.
Non so se nella Bibbia ci sono altri esempi: ma forse nessuno come te potrebbe essere preso come immagine perversa di chi introduce il calcolo nel gioco, l’interesse finanziario nel divertimento, il “business” sui prati di gara, la frode nei risultati per cupidigia di dividendi, la violenza negli stadi per delirio di egemonia.
Forse sono stato un po’ duro con te.
Ma non mi piace lasciarti con l’amaro in bocca e voglio risarcirti del disappunto che ti reco con questa lettera, mettendo in risalto la grande intuizione nascosta sotto il tuo deprecabile gesto di gelosia. Nessuno ha capito meglio di te che gli uomini,
giocando insieme, diventano fratelli. Perché chi gioca deve accettare una uguaglianza iniziale, non può accampare vantaggi, e deve sistemarsi con gli altri sulla stessa linea di partenza. Perché, anche se il gioco termina col vantaggio di qualcuno, il risultato di oggi è sempre ribaltabile domani, e alla fine subentra la logica del pareggio che è anche logica di parità.
Tutto questo tu l’hai capito benissimo: non volevi che il figlio della schiava diventasse fratello del figlio della libera, e non hai trovato rimedio più efficace che quello di rompere con la violenza la felicità dei bambini che stavano divertendosi.
Ma resta il fatto che tu, con quel gesto, nonostante tutto, hai dato credito alla forza pericolosa di pace nascosta nel gioco.
È per questo, Sara, che ti ringrazio.
E sono certo che per questo mi perdonerai le maldicenze di cui sopra. In fondo, sia pure in extremis, ho ribaltato in tuo vantaggio una partita che sembrava chiusa per te.
Non è la prima volta, del resto, che una gara si decide al novantesimo minuto!

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