O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,
con la bocca di bambini e di lattanti:
hai posto una difesa contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi:
tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.
O Signore, Signore nostro,

quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

Salmi 8

CON LA BOCCA DEI BIMBI

di Don Tonino Bello

Di retorica ne facciamo tanta. Quante volte, nei nostri discorsi sui bambini, non siamo andati pure noi alla ricerca delle frasi a effetto sicuro? A fin di bene, è chiaro. Per stupire la gente e per commuoverla. Come si fa, del resto, a non tirar fuori Giovenale con la sua massima reverenza che si deve al fanciullo? E a chi lo lasciamo il Talmud, il quale afferma che il mondo si mantiene per il fiato dei bambini? E se si vuol davvero far presa sull’uditorio, come si fa a non citare il verso di Tagore: «Ogni bimbo che viene al mondo porta il lieto annunzio che Dio ancora non si è stancato degli uomini?». E non vi sembra splendido concludere un bel discorso scomodando Ibsen, il quale assicura che darebbe tutte le sue poesie in cambio della preghiera di un bambino? Scommetto che ogni catechista ha un suo repertorio segreto. Che il Talmud sia una raccolta ebraica di commenti biblici non gli importa gran che. Che Tagore sia un poeta indiano e Ibsen un drammaturgo norvegese lo lascia indifferente. Di Giovenale forse sa solo che fu un antico poeta romano, visto che la sua frase «masima debetur puero reverentia» la citano in lingua anche coloro che non masticano il latino.
Ma intanto la sua figura il catechista la fa. E con questi florilegi eleganti si prepara antipasto, contorno e dessert, insieme al piatto forte costituito dalle parole del Signore: Lasciate che i bambini vengano a me.
Non mi va, comunque, di sorridere sulla ingenuità di questo procedimento. Non solo perché dovrei cominciare a sorridere di me stesso, che a questi espedienti letterari sono aduso. Ma anche perché (messo fra parentesi quel piccolo tasso di amor proprio che si sprigiona quando ci si esibisce con i panni altrui) mi sembra che tutto sommato, in questo approccio traspaia un profondo rispetto per il mistero del bambino.
Desidero solo sottolineare che occorre evitare la tentazione di portarla per le lunghe ricorrendo ai prodotti, sia pure di lusso, confezionati dagli altri. Non si può perdere tempo con le frasi fatte, quando ogni discorso sui bambini diventa già eccezionale se si dice subito che ad essi bisogna accostarsi con fede. Con fede. Non solo con rispetto. Perché dire con rispetto significa riconoscere che il bambino è fragile. Dire con fede significa
riconoscere che il bambino è pieno di Dio. Capite che si invertono le prospettive. Avvicinarsi a lui con timore e tremore, preoccupati di non frantumarne la delicatezza o di non appannarne la trasparenza, significa rimanere ancora ai margini di un umanesimo estetico. Che è sempre una cosa splendida. In questo caso, però,
il massimo del rispetto verso il bambino consisterà nel non usargli violenza con l’introdurre nel suo vergine mondo le schegge erranti della nostra cattiveria di adulti. Ma avvicinarsi a lui con timore e tremore, consapevoli che la grazia del battesimo ne ha fatto una creatura nuova, significa adoperarsi per portare a maturo sviluppo l’incredibile realtà che lo Spirito Santo ha già messo dentro di lui. Noi non gli regaliamo niente. In questo caso, il minimo della fede consiste nel lasciarsi evangelizzare dai bambini. Sicché mentre tocchiamo con mano questo terreno di santità, per portarlo a maturazione, un ciottolo, dico un ciottolo in mezzo a tante ricchezze, ce lo possiamo sempre portare a casa senza ombra di furto: sia pure come souvenir della nostra innocenza perduta o come profezia del nostro destino futuro!

Lasciarsi evangelizzare dai bambini. Con la stessa fiducia con cui nell’America Latina i vescovi dicono che bisogna lasciarsi evangelizzare dai poveri. C’è nel Sal 8 un versetto che ci fa intuire tutta la fiducia che Dio ripone nella bocca dei bambini. Nella loro bocca. Che parla riducendo al silenzio l’arroganza dei riottosi. Non nelle loro orecchie soltanto, quasi fossero l’unico veicolo che li mette in contatto con la gloria di Dio.
Con la bocca dei bambini e dei lattanti, affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli. É una scelta paradossale del Signore che davanti ai tribunali della storia vuol farsi difendere
dai bambini, più che dagli avvocati di grido? O è un’indicazione di metodo perché gli adulti, in vena di sacre chiacchiere, si mettano in ascolto dei messaggi fioriti sulla bocca dei lattanti e ne riscoprano l’attitudine evangelizzatrice? Lasciarsi evangelizzare dai bambini. Beati voi, catechisti, che stando a contatto con loro potete farlo più di me. E per questo che vi invidio. Accanto a loro, ultimi arrivati, si percepisce meglio il senso ultimo delle cose. Oltre che il mistero di Dio, naturalmente. Perché, forse non lo sapete, ma è il fiato dei
bambini che sostiene il mondo. E una frase del Talmud. Vi vedo sorridere…
Ah, già! Accidenti alla retorica. Ma stavolta non potevo farne a meno.

Tratto da: Tonino Bello Scrivo a voi… Lettere di un vescovo ai catechisti EDB

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